Le azioni proprie rappresentano un tema sempre attuale nel diritto societario e un elemento fondamentale della conoscenza di qualsiasi giurista con una formazione commerciale e societaria.
Per azioni proprie si intendono titoli di credito che rappresentano una quota del capitale sociale della stessa azienda che li sta acquistando, viene da sé che un’azienda che acquista azioni proprie non fa altro che investire una parte della sua liquidità in se stessa.
Prima di incominciare la trattazione è bene specificare che le azioni proprie non sono altro che normalissime azioni della società emittente che hanno la loro particolarità solo nel fatto di essere acquistate dalla stessa società che le emette e non da terzi, come avviene solitamente.
L’acquisto di azioni proprie, in gergo detto anche buy-back, è spesso un passaggio fondamentale delle operazioni straordinarie.
Ci sono quattro momenti in cui si incontrano, nelle operazioni di M&A, le azioni proprie.
Per semplicità, nel prosieguo si farà riferimento alla fusione per incorporazione, essendo la medesima disciplina applicabile anche alle fusioni proprie (c.d. in senso stretto ex art. 2501 c.c.) e alle scissioni (disciplinate ex artt. 2506 c.c. e seguenti). Nella scissione (che può essere parziale o totale sotto l’aspetto patrimoniale, e proporzionale o asimmetrica[1]sotto il profilo della governance), la scissa corrisponde all’incorporata, e la beneficiaria corrisponde all’incorporante.
La società incorporante detiene una partecipazione nel capitale dell'incorporata prima della fusione.
L’incorporante, quando decide di fare un’operazione di fusione, di norma[2 ] deve aumentare il capitale sociale (d’ora in avanti: “CS”) come mezzo di pagamento (c.d. concambio di azioni) verso i soci della società incorporata. Questo aumento di CS serve per soddisfare il diritto dei soci della società incorporata a ricevere un congruo concambio, secondo la ratiodella disciplina sui conferimenti dettata dall’art. 2343 c.c., in considerazione del fatto che tali soci apporteranno un’azienda[3] all’interno dell’incorporante. Un congruo concambio che è dato dal rapporto tra il valore economico di un’azione dell’incorporata e il valore economico di un’azione dell’incorporante. Di conseguenza, il concambio di azioni è relativo rispetto alla stima dei rispettivi valori economici delle due società. Questo porta a sottolineare un tema di tutela dell’integrità del CS poiché a fronte di un nuovo apporto (in questo caso una azienda in funzionamento) fatto da soggetti terzi, per evitare che si imposti un rapporto di cambio discrezionale (attraverso la definizione dei valori economici delle due società), sarà necessario svolgere delle perizie e valutazioni. Queste perizie verranno effettuate per poter allocare nel bilancio[4] dell’incorporante, i valori stimati dell’incorporata che eccedono i valori contabili della stessa (che sono già periziati ex art. 2343 c.c.). Questo al fine di evitare lesioni all’integrità del CS, quale primo punto di riferimento e garanzia per terzi creditori.
Nel caso la fusione in questione sia una fusione eterogenea (nel caso specifico ex art. 2500-octies c.c.) dove c’è l’incorporazione di una società di persone in una società di capitali, non essendo i beni conferiti nella società di persone mai stati periziati[5], la perizia dovrà essere di essi integrale, e non limitata all’eccedenza dei valori contabili.
Nella fattispecie esame del punto primo, è l’incorporante stessa a partecipare nell’incorporata. Ciò significa che il CS presente (prima dell’operazione di fusione) già ha nell’attivo una percentuale di questa società (futura incorporata), e quindi non entra nulla di nuovo nella società in misura della percentuale già partecipata.
Questo comporta che la società incorporante non andrà a emettere del nuovo CS per quella percentuale perché altrimenti NON ci sarebbe una corrispettiva copertura del CS, attraverso dei nuovi apporti. Come dire che la società incorporata vale 100 (NB. il valore 100 in questa sede è dato dalla differenza tra attività e debiti, quindi si parla di patrimonio netto, o meglio ancora valore netto contabile, d’ora in avanti: “VNC”) e 20 (di questo VNC) sono già in pancia dell’incorporante attraverso delle partecipazioni. Quando l’incorporante deciderà di fare una fusione aumenterà il suo CS per concambiare gli 80 di VNC che non possiede e NON anche i 20 che già ha acquistato precedentemente. Questi 20, infatti, sono già presenti nel bilancio dell’incorporante come partecipazioni nell’attivo del bilancio, e dunque coperti (nella parte passiva del bilancio) dà una fonte di finanziamento che è la modalità (debito o equity) che ha finanziato quell’acquisto.
Quando ci sarà la fusione se si aumentasse il CS dell’intero 100 di VNC, avendo già comprato 20 iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie come partecipazione (coperta al passivo dalla relativa modalità di finanziamento), si andrebbe a pagare 120 quello che vale 100. Questo non garantirebbe un integrale copertura dell’effettivo valore del CS, andando a gonfiare quelli che sono i valori di bilancio rendendolo non più un documento che rappresenta in maniera veritiera e corretta[6] la situazione sociale dell’incorporante.
E allora come si opera?
Si deve:
A) Fare un aumento di CS per concambiare solo i soci diversi dall’incorporante stessa (nel nostro esempio che possiedono 80[7] di VNC dell’incorporata)
B) Andare ad annullare quella partecipazione (come quando si fa un bilancio consolidato e si storna la partecipazione che si ha nel bilancio separato, a fronte dell’inserimento nel A) bilancio consolidato delle poste di bilancio della società partecipata) inserendo al suo posto la percentuale di attivi e i passivi corrispondenti la percentuale della partecipazione sul CS.
Così facendo l’aumento del CS di 80 sarà la fonte che coprirà gli 80 rimanenti di VCN dell’incorporata e i 20 per cui si storna la partecipazione nell’attivo, nel passivo saranno coperti da quello che era stato il metodo di finanziamento.
Concludendo che i 100 di VNC che si sono comprati saranno distribuiti nel passivo come:
- 80 da concambiare con l’aumento di CS;
- 20, essendo già stati comprati in precedenza, saranno stornati nell’attivo, rimanendo la modalità di pagamento nel passivo.
L’annullamento delle partecipazioni potrebbe portare all’emersione di disavanzi (se il costo storico della partecipazione è MAGGIORE rispetto al VNC dell’incorporata partecipato; quindi, se la partecipazione valeva il 20%, si sottrae al suo costo il 20% del VNC che vale l’incorporata in quel momento) o avanzi (se il costo storico della partecipazione è MINORE rispetto il VNC dell’incorporata partecipato) da annullamento.
Queste differenze da annullamento, ex art. 2504-bis c.c., si potranno allocare nell’attivo e nel passivo del bilancio se sono derivanti da disavanzi; se invece derivanti da avanzi da annullamento andranno a confluire nel patrimonio netto dell’incorporante.
Punto interessante è che rispetto ai disavanzi che derivano dal rapporto di concambio nella fusione, questi da annullamento possono essere allocati SENZA perizia ex art. 2343 c.c. Diversamente quelli da concambio per essere allocati hanno bisogno di essere periziati, perché (in sintesi) questi secondi nascono in funzione della fusione e non ne sono indipendenti come valori, mentre quelli da annullamento nascono per un costo sostenuto nel passato ad un valore non influenzato dalla fusione.
L'incorporata ha delle azioni proprie
Nell’ipotesi in cui l’incorporante andasse a concambiare quelle azioni, staremmo dicendo che l’incorporata non “sparirebbe” ma ricevendo delle azioni in concambio, rimarrebbe una società con solo azioni dell’incorporante…
Per di più, a fronte di questo concambio:
· C’è un valore che entra nell’incorporante?
· Il CS dell’incorporante è coperto?
Ragionando emerge che l’incorporante starebbe emettendo delle azioni per concambiare le azioni proprie dell’incorporata, che però hanno un valore negativo in bilancio. Questo perché la società riacquista delle azioni che prima erano sul mercato, e per queste paga un prezzo, diminuendo il suo attivo (la sua cassa). Queste azioni da quel momento, per dare una maggiore evidenza in bilancio del loro valore, vengono contabilizzate negativamente, per sottolineare che l’attivo a copertura del patrimonio netto è diminuito… Infatti, uno degli scopi prodromici al riacquisto di azioni proprie è quello di andare a diminuire realmente il capitale sociale della società[8], attraverso l’annullamento delle azioni proprie. Quindi se si andassero a concambiare le azioni proprie, si starebbe concambiando un valore negativo di bilancio dell’incorporata, e l’incorporante che aumenta il capitale sociale, lo farebbe coprendolo con un valore negativo… il che, possiamo immaginarlo, non si può fare.
Allora interviene il legislatore:
Disponendo ex art. 2504-ter c.c. un divieto per la società incorporante (o quella che nasce con la fusione, se si parla di fusione propria o in senso stretto) di assegnare azioni o quote[9] in sostituzione di quelle possedute dalle società partecipanti alla fusione (se siamo nella fusione propria) ovvero della società incorporata. Queste azioni proprie vengono quindi annullate (essendo come già risulta dalla contabilizzazione un valore negativo nel patrimonio netto) e non computate ai fini del rapporto di cambio della fusione.
Nel rapporto di cambio, se si conteggiassero le azioni proprie dell’incorporata diminuirebbe il valore economico di ogni azione… dall’altro lato, invece, il non conteggio comporterebbe un incremento del valore economico di ogni azione, dovendosi dividere il valore economico della società per un minor numero di azioni.
Agli amministratori compete l’obbligo di andare a illustrare nella relazione ex art. 2501-quinquies c.c. l’incidenza del divieto di assegnazione sul rapporto di cambio; o, nel caso che si voglia disporre di queste azioni tramite alienazione (prima della fusione), gli amministratori devono dichiarare quale che sia l’incidenza sul rapporto di cambio.
L’inosservanza del divieto può comportare una responsabilità penale per gli amministratori ex art. 2628 c.c. (come nel caso di violazione ex art. 2357-quater c.c. quando per acquisire le azioni proprie si ricorre alla sottoscrizione, e non alle modalità previste ex art. 2357 c.c.).
Certo rimane che se la società incorporata volesse venderle prima del progetto di fusione, perché reputa che potrebbero portare un valore aggiunto all’operazione, lo può fare.
La società incorporata detiene partecipazioni nel capitale dell'incorporante
Qui l’incorporante attraverso il concambio acquisirà dall’attivo dell’incorporata delle partecipazioni verso sé stessa. Con la fusione quelle azioni (all’inizio in pancia dell’incorporata), diventano dell’incorporante, il che comporta che diventano azioni proprie in questo nuovo bilancio, andandosi a contabilizzare quindi non più nell’attivo come investimento, bensì nel patrimonio netto in una riserva di valore negativo.
Formalmente però ex art. 2357 c.c. queste azioni proprie non sono state acquistate: né con utili distribuibili, né con riserve disponibili… e quindi si incontra il divieto sancito dall’articolo alle modalità alternative di acquisto, poste per garantire l’integrità del capitale sociale. Guardiamo però la sostanza di questo acquisto di azioni proprie:
Essendo la partecipazione (detenuta dall’incorporata verso l’incorporante) nell’attivo nell’incorporata, essa concorre alla formazione del valore economico ai fini del rapporto di cambio. Quando verrà poi messa nel bilancio dell’incorporante direttamente nel suo patrimonio netto come riserva negativa, riassorbirà l’aumento di capitale sociale che aveva comportato, dato il maggior valore economico nel rapporto di cambio, andando a garantire l’integrità del capitale sociale. Quindi in questo caso specifico non sembra venire meno l’integrità del CS…
Infatti, il legislatore nell’art. 2357-bis c.c. ha introdotto una deroga sulle modalità di acquisto delle azioni proprie, appunto in occasione di operazioni straordinarie quale è la fusione[10].
Riguardo invece l’aspetto formale della delibera richiesta ex art. 2357-bis c.c.?
L’acquisto di azioni proprie necessita di una delibera ordinaria (ex art. 2364 c.c.) per essere effettuato. Qui l’acquisto è “involontario” perché l’incorporante si trova le azioni proprie direttamente contabilizzate dopo la fusione, senza aver fatto una delibera ad hoc…
Va bene sotto l’aspetto formale?
Sì, perché questo effetto (collaterale) è scaturito dalla delibera straordinaria (ex art. 2365 c.c.) necessaria per attuare l’operazione di fusione, il che secondo dottrina e giurisprudenza soddisfa pienamente il requisito formale.
È doveroso aggiungere che fare un aumento di CS, che poi sostanzialmente è abbattuto dalla contabilizzazione delle azioni proprie non è l’unica possibilità che ha l’incorporante. Ci sono delle vie alternative per usare queste azioni proprie, evitando l’aumento del CS, in particolare:
- Si possono assegnare ai soci dell’incorporata, usando direttamente quelle azioni per soddisfare il rapporto di cambio, evitando quindi alla società incorporante di dover fare un aumento di capitale sociale per soddisfare i soci dell’incorporante.
Che poi successivamente se non si sa come impiegare queste azioni proprie si dovrà procedere ad una diminuzione del CS attraverso l’annullamento delle azioni proprie acquisite involontariamente, con gli oneri procedurali del caso. Ovviamente va vista la percentuale che queste azioni coprono, che non per forza è sufficiente a soddisfare il rapporto di cambio della fusione, ma magari in piccola parte sì.
Ma se invece quella percentuale di azioni non fosse minima, ma fosse una partecipazione di controllo o addirittura totalitaria nell’incorporante da parte dell’incorporata? Nella prassi prende il nome di fusione madre figlia, dove però essendo la madre incorporata darebbe vita ad una fusione inversa, dove nella forma si vede una cosa (cioè che chi ha il 100% o la maggioranza viene incorporato), ma nella sostanza avviene l’esatto contrario, cioè l’incorporante formale è in realtà l’incorporata sostanziale, con tutta una serie di conseguenze a livello pratico nelle valutazioni, come il fatto che si debba andare ad immaginare per determinare il rapporto di cambio quello che sarebbe stato l’aumento del CS che avrebbe dovuto fare l’incorporata formale essendo lei l’incorporata sostanziale, quindi cambiando quello che è il rapporto che determina il concambio. Riguardo la fusione inversa non entriamo nei dettagli non essendo oggetto di questo articolo.
Nella scissione parziale, si verifica una situazione aggiuntiva rispetto alla fusione dove:
Nel caso che la società scissa partecipi la beneficiaria (che incorpora il ramo che la scissa scinde) la scissa può andare a ricevere lei stessa le azioni in concambio della beneficiaria, rimanendo in vita dopo l’operazione. Questa cosa non può avvenire nella fusione per incorporazione, essendoci un’aggregazione integrale in un unico soggetto giuridico.
L'incorporante ha delle azioni proprie
Qui l’incorporante, nella fase di negoziazione con l’incorporata (rispetto a quello che sia il VNC che l’incorporata apporterà nell’incorporante) potrebbe addirittura non dover emettere nuovo CS, poiché invece potrebbe usare come mezzo di concambio (e quindi di pagamento per soddisfare i soci dell’incorporata) le stesse azioni proprie. Queste, infatti, che hanno valore negativo se tenute nel patrimonio netto dell’incorporante, se date in concambio vengono riempite di un VNC positivo che apporta l’incorporata nell’incorporante, andando a “trasformare” il valore prima della riserva negativo in positivo.
[1] Nomenclatura coniata dalla Professoressa Giuliana Scognamiglio, dell’università Sapienza di Roma, nel Trattato Colombo-Portale nella monografia sulla scissione. [2] Ci sono situazione in cui l’aumento di capitale sociale non è necessario, come si vedrà nel prosieguo, al terzo e quarto caso del presente articolo. [3] Ex art. 2555 c.c. [4] Dopo verrà approfondito il tema dell’allocazione, quando si parlerà degli effetti della fusione ex art. 2504-bis c.c.
[5] Ex artt. 2253, 2254 e 2255 c.c. essendoci una “autonomia patrimoniale imperfetta” nelle società di persone, in capo alla persona fisica del socio, la tutela di quelli che sono i valori apportati nella società non è per forza all’interno dell’azienda e quindi nel CS, ma si estende a quello che è il patrimonio personale del socio, non chiedendo quindi la perizia nel momento del conferimento, come non avviene invece nelle società di capitali, che hanno una “autonomia patrimoniale perfetta”.
[6] Ex art. 2423 c.c. che enuncia i criteri di redazione di un bilancio;
[7] NB: Andando a considera però ai fini del rapporto di cambio tutte le partecipazioni (azioni) presenti, anche quelle detenute dall’incorporante che comunque servono a definire quello che è il valore economico di una singola azione dell’incorporata, ai fini del rapporto di cambio;
[8] Ex art. 2445 c.c.
[9] Quote è la nomenclatura della partecipazione sociale nelle s.r.l. [10] Nel caso che l’incorporante faccia ricorso al capitale di rischio (è quotata) allora si deve vedere se è rispettato il limite della quinta parte del capitale sociale, come massima percentuale delle azioni proprie detenibili.
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