top of page

L’ Aprile Nero di Donald tra Dazi ed Accuse di Insider Trading

  • P. Azzaretto
  • 24 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

“This is a great time to buy!!! DJT”. Così il Presidente americano Donald Trump sul suo social Truth lo scorso 9 aprile. Poche ore dopo arriva l’ufficialità: il magnate newyorkese annuncia una pausa di novanta giorni sui famosi dazi da lui stesso introdotti una settimana prima.

Facciamo però un passo indietro e torniamo al “Liberation day” del 2 aprile 2025. Qui Trump proclama l’inizio dell’età dell’oro americana. Il tycoon annuncia l’inserimento di tariffe doganali aggiuntive sulle merci importate negli Stati Uniti. Gli obbiettivi dichiarati dal governo di Washington sono ridurre il deficit commerciale del paese, favorire il “Made in USA” e rispondere ad un fantomatico bullismo economico subito dagli americani. Il leader repubblicano parla ai suoi elettori e loro rispondono, approvano, applaudono, in un contesto che più che politico sembra essere teatrale. Il populismo è percepibile ad ogni frase: vengono screditate le amministrazioni precedenti, si fa riferimento ad un sogno americano rubato e ad altri paesi che mettono le mani in tasca agli Stati Uniti ormai da anni. Trump annuncia: “Tra qualche minuto firmerò uno storico ordine esecutivo che genererà dei dazi reciproci con diversi paesi in giro per il mondo”. È proprio qua che bisogna soffermarsi e riflettere: sul termine “reciproci”. Secondo il Presidente americano, la mossa commerciale introdotta dal suo esecutivo è giustificabile poiché nasce come risposta a dei dazi già esistenti applicati dagli altri paesi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Non è così, è tutto falso. Dopo aver gettato ancora fumo negli occhi dei suoi elettori, aver fatto salire sul palco un operaio che lo definisce il “miglior presidente della storia” ed essere ritornato più volte al suo iconico slogan “MAGA: Make America Great Again”; Trump dichiara che l’America imporrà dazi equivalenti alla metà di ciò che gli altri paesi hanno fatto loro pagare negli ultimi anni. In pieno stile trumpiano tira poi fuori dal cilindro una tabella dove, per ogni paese, sono segnate “le tariffe richieste agli USA” ed i corrispondenti “dazi scontati reciproci” che verranno da lì a poco introdotti. Il problema è che i dati relativi ai dazi imposti nei confronti degli Stati Uniti, mostrati in diretta mondiale, sono completamente inventati e non hanno nessuna base economica. In particolare, il magnate newyorkese si è servito di un calcolo basato sul rapporto commerciale tra gli Stati Uniti e gli altri paesi del mondo per creare artificialmente dei dazi in realtà inesistenti imposti da quest’ultimi.

Per capire meglio tutto ciò si può utilizzare un esempio pratico. Consideriamo il rapporto commerciale tra Stati Uniti e Cina. Nel 2024, il totale degli scambi di beni tra questi due paesi ha superato i 580 miliardi di dollari con importazioni americane dalla Cina per circa 439 miliardi, mentre le esportazioni verso il paese asiatico ammontano ad un valore di circa 143 miliardi di dollari. Dunque, la bilancia commerciale degli StatiUniti nei confronti della Cina constata un negativo di 296 miliardi di dollari in beni. Se ora si calcola il rapporto tra quest’ultimo valore ed il valore delle importazioni americane dalla Cina (439 miliardi di dollari, come già detto) ciò che risulta è proprio quel 67 percento che Trump ha annunciato essere il dazio imposto dal paese cinese agli Stati Uniti. Da questo valore percentuale, che per l’appunto secondo l’amministrazione repubblicana rappresenta un dazio imposto agli Stati Uniti in realtà inesistente, si può facilmente ricavare, dividendo per due, il dazio imposto alla Cina da Trump. Lo stesso calcolo si può fare per tutti i paesi che vantano un surplus nei confronti degli Stati Uniti ed esso risulta essere sempre corretto. Per le nazioni, come per esempio il Regno Unito, dove le esportazioni americane superano le importazioni, è stato invece imposto un dazio “flat” del 10 percento, anche qui basato sul nulla. Alla luce di ciò si può sostenere che un misto tra ignoranza economica e vittimismo infondato è ciò che ha reso possibile l’inserimento di queste folli tariffe doganali che hanno avuto come unico risultato quello di far crollare i mercati di tutto il mondo.

Dopo una settimana di tracollo economico-finanziario in tutte le parti del globo e caratterizzata anche da qualche uscita infelice (come quel “They are kissing my ass” rivolto agli Stati dell’Unione Europea), Donald Trump annuncia ufficialmente la pausa di 90 giorni sui dazi per molti paesi. Poche ore prima però, alle 9:37 di quel rocambolesco 9 aprile per essere esatti, il tycoon posta su Truth: “This is a great time to buy!!! DJT”. Il messaggio è chiaro: chi compra ora, guadagna. Ed infatti, dopo l’annuncio della sospensione, i mercati registrano un’impennata molto significativa: l’S&P 500 guadagna circa il nove percento, il Dow Jones quasi l’otto ed il Nasdaq addirittura il dodici. Tale post può essere peraltro interpretato come un invito a comprare azioni della Trump Media & Technology group che infatti, proprio grazie all’annuncio, ha guadagnato circa 415 milioni di dollari. Successivamente emerge anche un video girato nello studio ovale in cui Trump indica alcuni miliardari americani lì presenti con lui, vantandosi dei guadagni che avrebbero percepito in borsa grazie ai suoi annunci. A seguito di tutto ciò i senatori democratici, in particolare Adam Schiff ed Elizabeth Warren, chiedono l’apertura di un’indagine nei confronti del presidente americano per insider trading e manipolazione di mercato. Essi reclamano in particolare che la SEC (Securities and Exchange Commision) verifichi che alcune persone collegate a Trump non fossero a conoscenza dell’introduzione della pausa dei dazi prima che essa fosse ufficializzata e che da ciò possano aver tratto profitti basati su “Material Non Public Information (MNPI)”.

Per comprendere il caso da un punto di vista giuridico occorre analizzare la legge statunitense in materia di insider trading e manipolazione di mercato. La Rule 10b5 del “Securities Exchange Act” stabilisce che un individuo sta eseguendo operazioni di trading basate su informazioni non pubbliche nel momento in cui sia a conoscenza di tali informazioni, aldilà del fatto che egli risulti essere effettivamente un “insider”. Visono poi diversi precedenti, fondamentali nella tradizione giuridica di common law, che stabiliscono essere reato usare informazioni riservate per profitti personali in particolare in violazione di un dovere fiduciario. Il problema che nasce da questa situazione coincide con la sottigliezza del confine tra politica ed i reati per cui Trump è stato accusato dai senatori democratici. Inoltre, il caso specifico di quell’incredibile 9 aprile non rientra a pieno nella definizione che il legislatore americano ha voluto dare ai reati di insider trading e manipolazione di mercato, pensati principalmente per punire i grandi leader finanziari e gli investitori. Dunque, per quanto vi siano elementi visivi e concreti che suggeriscono la sussistenza di possibili reati finanziari, è difficile che essi vengano innanzitutto provati e soprattutto che da ciò ne derivi una sentenza di condanna nei confronti del presidente americano.

 
 
 

Commenti


bottom of page