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M. Scicolone, A. Gianferrara

La legislazione per garantire la parità di genere: è l’ora dell’UE

Aggiornamento: 29 mar 2022


L’approvazione della direttiva sulla parità di genere nei CdA


Già nel 2012, una relazione della Commissione Europea sottolineava che la composizione degli organi apicali delle società europee era caratterizzata da un notevole divario di genere: infatti, le donne occupavano solo il 13,7% dei posti nei consigli di amministrazione delle più grandi società quotate in tutti i paesi dell'UE[1]. Alla luce di ciò, il 20 novembre dello stesso anno venne presentata al Consiglio una proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società. In particolare, la direttiva era finalizzata a raggiungere una presenza femminile all’interno dei CdA del 40% entro il 2020 senza prevedere delle quote obbligatorie per le donne, ma puntando su dei meccanismi più equi di selezione dei candidati[2].

La base legislativa della direttiva era l'articolo 157(3) TFUE, che garantisce l'applicazione del principio della parità di genere in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. L'articolo 157(4) del TFUE e l'articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE riconoscono l'azione positiva come un metodo per raggiungere la parità di genere.

Nonostante l'ampio consenso a favore dell'adozione di misure per migliorare l'equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società, alcuni Stati Membri[3] sostenevano che una legislazione a livello UE non fosse conforme al principio di sussidiarietà[4], continuando a preferire misure nazionali o almeno non vincolanti a livello europeo. Di conseguenza, dopo l’approvazione del Parlamento Europeo, la proposta era rimasta bloccata al Consiglio, che non era riuscito a giungere a un accordo sulla stessa.


Dopo un decennio, la situazione si è finalmente sbloccata e la Germania ha svolto un ruolo chiave nel cambio di rotta del Consiglio.

In Germania le donne costituiscono il 12,8% dei consigli di amministrazione delle 30 maggiori società tedesche quotate nell'indice blue-chip Dax, secondo un sondaggio di settembre 2020 condotto dalla fondazione svedese-tedesca AllBright. La cifra si confronta con il 28,6% degli Stati Uniti, il 24,5% nel Regno Unito e il 22,2% in Francia. La ricerca ha anche affermato che le società Dax hanno perso donne in posizioni dirigenziali, mentre c’è stato un aumento del numero di società Dax senza una sola donna nel consiglio, passando da 6 società dell'anno precedente a 11 attualmente.

In data 17 febbraio 2022 la Germania, dopo una pregressa e manifesta opposizione alla “proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure” in quanto ad essa era stato preferito rimettere tale disciplina alla normativa interna, ha dichiarato il suo sostegno alla proposta, ponendo probabilmente fine a una situazione di stallo durata 10 anni. Come affermato dalla Ministra tedesca Anne Spiegel - ministro per la famiglia, gli anziani, le donne e i giovani - in una dichiarazione sulla direttiva sulle posizioni di leadership del 2012 (spesso chiamata la proposta "donne nei consigli di amministrazione"), la proposta costituisce un formidabile strumento per migliorare l'equilibrio di genere tra i direttori non esecutivi di società quotate in borsa.


Il 14 marzo 2022, durante il Consiglio “Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori”, i ministri hanno concordato un orientamento generale sulla proposta di direttiva UE volta a migliorare l'equilibrio di genere tra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate[5]. La decisione di avviare negoziati interistituzionali è stata approvata congiuntamente dalle commissioni per i diritti delle donne e l'uguaglianza di genere e per gli affari legali con 46 voti a favore, 8 contrari e 2 astensioni. La decisione dovrebbe essere annunciata in plenaria il 23 marzo p.v., e i negoziati dovrebbero iniziare poco dopo[6].

Nello specifico, la proposta mira a introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle aziende, in modo che almeno il 40% direttori non esecutivi sia donna. I deputati sottolineano che la trasparenza e il merito devono rimanere i criteri chiave nelle procedure di selezione ma, nei casi in cui i candidati siano ugualmente qualificati per un posto, la priorità dovrebbe andare al candidato del sesso sottorappresentato. La proposta include sanzioni per le aziende che non rispettano le procedure di nomina aperte e trasparenti.


Le evidenze scientifiche alla base di queste misure


Sul punto vale la pena riporre l’attenzione su alcuni elementi desumibili da vari studi condotti sia in ambito psicologico sia empirico, valutando con accortezza i risultati forniti.

Alla luce di quanto emerso dall’indagine condotta dalle Professoresse Isabelle Solal e Kaisa Snellman in “Women Don’t Mean Business? Gender Penalty in Board Composition”[7] e considerata la sottorappresentanza delle donne nei CdA e nei vertici aziendali, le Autrici si sono soffermati sugli effetti derivanti da un incremento del genere in parola con riferimento agli stakeholder, le aziende, gli investitori e l’ambiente economico in generale.

Ciò non di meno, i risultati non sono univoci in quanto secondo alcuni primi studi era stata ravvisata una correlazione positiva tra valore dell'impresa e consigli diversificati per genere, mentre sulla base di recenti meta-analisi e studi incentrati su dati longitudinali è stato mostrato un effetto nullo o negativo della rappresentanza femminile nel consiglio. Inoltre, il mercato potrebbe avere difficoltà a prevedere in che modo la diversità del consiglio di amministrazione influirà sulle prestazioni effettive del consiglio e dell'azienda stessa.


La leadership femminile in Europa


Merita altresì di essere sottolineato che sulla base del GENDER Diversity Index 2020 si evidenzia un progresso lento ma costante della leadership femminile a livello europeo, nonostante sussistano notevoli differenze tra i singoli Paesi. In taluni paesi (ex multis Norvegia, Francia, Regno Unito, Finlandia e Svezia) le imprese sono ormai prossime al raggiungimento dell’equilibrio di genere ai vertici aziendali, a differenza di quanto accade in paesi come Polonia e Repubblica Ceca, tutt'altro che orientati alla leadership femminile.

Sono appena il 6% le società dell’indice di borsa STOXX Europe 600 con a capo una donna e solamente in 130 (19%) è presente una donna CEO oppure COO.

Inoltre, non si può prescindere dal rammentare che il 2020 è stato anche segnato dall'impatto del Covid sull'occupazione femminile, innestandosi in uno scenario già complesso e poco favorevole per il genere in analisi. Nondimeno, si possono apprezzare alcuni risultati di segno positivo: è raddoppiato il numero di aziende con un'elevata rappresentanza femminile nel processo decisionale e sono aumentate considerevolmente le donne che hanno assunto ruoli apicali (rappresentano il 35% di tutte le nuove nomine).


Ad oggi, nove stati membri hanno introdotto una qualche forma di legge sulle quote di genere per i consigli di amministrazione[8], mentre altri nove non prevedono né regole, né raccomandazioni[9]. Nonostante i progressi fatti, solo il 30,6% dei membri dei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate in borsa dell'UE sono donne, con differenze significative tra gli stati membri (dal 45,3% in Francia all'8,5% a Cipro)[10].

Nonostante le misure introdotte, al ritmo attuale potrebbe essere necessario fino al 2045 perché le donne costituiscano il 50% dei consigli d'amministrazione, secondo una ricerca di Morgan Stanley Capital International[11].


Il caso della legge della California


Le stesse nobili motivazioni hanno spinto, tre anni fa, la California ad adottare il Senate Bill 826, legislazione di contenuto analogo alla proposta di direttiva UE. Tuttavia, le maggiori critiche traggono origine da un diverso retroterra legale e culturale rispetto a quello europeo. Infatti, la maggiore preoccupazione degli Stati Membri riguardava il rispetto del principio di sussidiarietà: sostanzialmente, veniva riconosciuta la necessità di una legislazione a tutela delle c.d. “quote rosa”, ma vi erano contrasti circa la necessità dell’ingerenza dell’UE nella legislazione nazionale.

Al contrario, il Senate Bill 826 è accusato di incostituzionalità, in quanto, prevedendo una percentuale di donne che deve necessariamente essere presente all’interno dei consigli direttivi delle società, obbligherebbe le società a discriminare proprio in base al genere nel momento della scelta dei direttori non esecutivi[12].


Conclusioni


L’approvazione di una legge che garantisca una quota all’interno dei CdA alle donne non può che essere considerata una conquista dal punto di vista equitativo. Tuttavia, riteniamo che si tratti solo di un mezzo funzionale al raggiungimento della parità di genere e all’allocazione delle posizioni apicali (di dirigenza nelle società in questo caso, ma si tratta di un ragionamento applicabile a qualsiasi mansione) in modo realmente meritocratico. Infatti, eliminando il bias, radicato nella società dei secoli scorsi, basata sul patriarcato, che porta a preferire un candidato di genere maschile a priori, si potrebbe auspicare a un miglior funzionamento del mercato e della società in generale.


[1] European Commission database on women and men in decision-making, Gennaio 2012 [2] Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori”, 11 dicembre 2014, https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/epsco/2014/12/11/ [3] I parlamenti nazionali di Danimarca, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Regno Unito e una delle due camere del Parlamento della Repubblica Ceca (Camera dei Deputati) hanno presentato pareri motivati entro otto settimane dalla presentazione della proposta della Commissione in tal senso. [4] Il principio di sussidiarietà prevede che, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione (art. 5 TFUE). [5]Consiglio "Occupazione, politica sociale, salute e consumatori", 14 marzo 2022, https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/epsco/2022/03/14/ [6] Comunicato stampa del Parlamento europeo, commissioni FEMM e JURI, “Women on boards: committees give green light for negotiations with member states”, 16 Marzo 2022, https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20220314IPR25412/women-on-boards-committees-give-green-light-for-negotiations-with-member-states [7] I. Solal, K. Snellman, “Women Don’t Mean Business? Gender Penalty in Board Composition”https://pubsonline.informs.org/doi/full/10.1287/orsc.2019.1301 [8] Spagna, Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Portogallo e Grecia). Kirsch, Anjia. “Women on Board Policies in Member States and the Effects on Corporate Governance” (2021) [9] Bulgaria, Croatia, Cyprus, Czech Republic, Estonia, Hungary, Lithuania, Malta, and Slovakia Kirsch, supra [10] Kerneïs, Klervi. ”All hands on deck for more gender equality in corporate decision-making” (2022), https://institutdelors.eu/en/publications/cap-sur-la-parite-dans-les-instances-dirigeantes-des-entreprises-europeennes/ [11] Milhomem, Christina. “Women on Boards: 2020 Progress Report” (2020), https://www.msci.com/www/women-on-boards-2020/women-on-boards-2020-progress/02212172407 [12] Guynn, Jessica. “This California law got companies to add record numbers of women to their corporate boards” (2022), https://eu.usatoday.com/story/money/2022/02/21/california-women-board-seats-gender-diversity-quota/6852554001/

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