Da FCA a Stellantis: la nascita del colosso globale che ridefinisce il futuro dell’auto
Se il mercato dell’auto in Italia è sempre stato la colonna portante dell’economia del paese, il gruppo FIAT (divenuto FCA nel 2014) è sempre stato il suo fiore all’occhiello. Per questo, la fusione, nel 2021, tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e la francese PSA (Peugeot Société Anonyme), che ha dato vita al Gruppo Stellantis, segna un punto di svolta cruciale per l'industria automobilistica italiana, portando con sé implicazioni economiche, occupazionali e sociali che continuano a farsi sentire.
La cessione di FCA non può essere vista solo come una scelta di razionalizzazione aziendale, ma come un sintomo di una crisi strutturale che affligge non solo il settore automobilistico italiano, ma l’intero sistema produttivo del Paese. Nel gennaio 2021 nasce dunque Stellantis, un gigante automobilistico che ha assemblato un portafoglio marchi diversificato, con un ampio raggio di produzione e presenza globale. Stellantis è diventato dunque il quarto gruppo automobilistico mondiale, dopo Toyota, Volkswagen e Renault-Nissan, con una produzione che comprende marchi storici come Fiat, Alfa Romeo, Chrysler, Peugeot, Citroën, Jeep o Maserati.
Nonostante le prospettive positive a livello globale, questa fusione ha sollevato preoccupazioni in Italia, non solo per il futuro dei marchi storici italiani, ma anche per le ricadute sul piano occupazionale e sul futuro della produzione automobilistica nel Paese e di tutte le attività legate alla filiera dell’automobile.
Fiat e Alfa Romeo sono due simboli della tradizione industriale italiana, e la perdita di controllo da parte di un gruppo nazionale ha suscitato un certo disorientamento tra i lavoratori e la popolazione, che vedeva l’industria automobilistica come un settore chiave per lo sviluppo economico nazionale. L'accordo di fusione ha incluso una serie di ristrutturazioni aziendali, tra cui il ridimensionamento delle capacità produttive negli stabilimenti italiani. Stellantis ha annunciato la riorganizzazione degli impianti, con un focus maggiore sulla produzione dei modelli a basso impatto ambientale e sulla razionalizzazione dei costi, ma al contempo con la prospettiva di ridurre il numero di posti di lavoro in Italia. La fusione ha quindi portato a un processo di "delocalizzazione" che ha ridotto la presenza produttiva di FCA nel nostro Paese, spostando una parte significativa della produzione in altre aree, come l’Europa dell’Est e il Nord America, dove i costi di produzione sono inferiori.
La risposta da parte del governo italiano e dei sindacati è stata immediata, con richieste di garanzie sul mantenimento dell’occupazione e sulla conservazione degli stabilimenti italiani. Tuttavia, Stellantis, pur mantenendo la promessa di non chiudere impianti in Italia, ha dovuto comunque fare i conti con le difficoltà derivanti dalla necessità di bilanciare la sostenibilità economica con quella sociale.
Immatricolazioni in forte calo: un mercato in crisi
Il mercato automobilistico italiano sta vivendo una fase particolarmente difficile. Il calo delle immatricolazioni è il segnale più evidente di una crisi che dura da tempo. Secondo i dati dell’Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), nel 2022, le immatricolazioni in Italia hanno registrato una diminuzione del 20% rispetto ai livelli pre-pandemia. Questo crollo delle vendite, fortemente accelerato dalle problematiche legate all’emergenza COVID-19, si è mantenuto anche negli anni successivi, con una contrazione che non ha trovato un vero punto di svolta.
Un dato emblematico che fa luce su questa tendenza è la scarsa crescita delle immatricolazioni nel 2024, con una diminuzione di circa il 18% rispetto ai numeri registrati nel 2019. Si tratta di un dato che non può essere considerato transitorio, ma il riflesso di una crisi strutturale che affligge il settore automobilistico, anche per effetto di una crescente disaffezione da parte dei consumatori.
Questo calo non è legato solo all'incertezza economica, ma anche alla mutata percezione dell'automobile. Le nuove generazioni sembrano sempre meno interessate a possedere un'auto, preferendo soluzioni di mobilità condivisa o il trasporto pubblico. Inoltre, le politiche ambientali più stringenti, i costi crescenti della benzina e la difficoltà nell’accesso al credito hanno contribuito a disincentivare l’acquisto di nuovi veicoli. A livello globale, i mercati automobilistici stanno attraversando un periodo di forte incertezze, ma l'Italia risulta particolarmente vulnerabile, a causa della sua dipendenza da auto a combustione interna e dalla carenza di politiche per stimolare il rinnovo del parco circolante.
La quota di auto aziendali in Italia sulle immatricolazioni totali è un ulteriore dato fornito dall’Unrae che evidenzia l’inadeguatezza delle politiche italiane in termini di stimoli per il settore automobilistico. Tale dato in Italia è stato pari al è pari al 41,7% nel 2022, mentre in Paesi come la Germania la quota raggiunge il 64,1%, in Francia il 54,6% e in Spagna il 55%. Essere ultima nella graduatoria per impiego di auto aziendali tra i grandi paesi della Ue è, per l’Italia, un indicatore di inefficienza del suo sistema produttivo, in quanto le auto aziendali sono diventate, non solo uno strumento di lavoro fondamentale per moltissime aziende, ma anche una soluzione per offrire ad una parte importante dei lavoratori di un’azienda un pacchetto retributivo rispondente agli standard dei nostri principali concorrenti in Europa. Questa evidente riduzione delle immatricolazioni è un altro segnale della stagnazione del mercato, con risvolti importanti per l'occupazione e le scelte industriali future.
La transizione verso l’elettrico: un percorso difficile in bilico tra incertezze e trasformazione
Una delle sfide più grandi per il settore automobilistico italiano riguarda la transizione verso l’auto elettrica. L’Italia, nonostante alcuni tentativi di investire nella mobilità sostenibile, sta tardando ad adattarsi a questa rivoluzione del settore automobilistico. Sebbene l'Unione Europea abbia fissato obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di CO2 e la promozione di veicoli elettrici, l'Italia sta affrontando numerosi ostacoli.
Il primo tra questi è l'infrastruttura di ricarica, che è ancora troppo scarsa e disomogenea sul territorio nazionale. Le zone rurali e quelle meno sviluppate non sono ancora adeguatamente coperte da punti di ricarica, creando un ostacolo per i consumatori interessati all’acquisto di un'auto elettrica. Inoltre, la rete di ricarica pubblica in molte città italiane è inadeguata e frammentata, un problema che limita gravemente la diffusione del veicolo elettrico.
In secondo luogo, i costi di acquisto delle auto elettriche rimangono elevati, nonostante gli incentivi governativi. I consumatori italiani, spesso sensibili alle spese, trovano difficoltà a giustificare l’investimento in un’auto elettrica, soprattutto in un contesto economico di incertezze e dove il valore del prodotto elettrico è suscettibile di una rapida svalutazione. Sebbene le politiche fiscali e gli incentivi statali stiano cercando di incentivare l'acquisto di veicoli a basse emissioni, la risposta del mercato è ancora timida.
Inoltre, la difficoltà dell'industria italiana di adattarsi a questa nuova era si riflette anche nelle difficoltà legate alla produzione delle batterie, un altro settore cruciale per la mobilità elettrica. L’Italia non ha ancora una filiera completa e competitiva nel campo della produzione di batterie, contrariamente a quanto accade in Paesi come la Germania, che sta sviluppando impianti di produzione di batterie con l'ausilio di fondi pubblici e privati. Senza una filiera solida, l’Italia rischia di rimanere indietro nella competizione globale per la produzione di veicoli elettrici.
Gli incentivi statali non bastano, serve una riforma strutturale
Le sfide legate alla cessione di FCA, al calo delle immatricolazioni e alla difficoltà di adattamento al mercato elettrico hanno ricadute importanti sul piano occupazionale. Le ristrutturazioni aziendali, la delocalizzazione della produzione e l'automazione crescente dei processi produttivi hanno portato a un significativo aumento della disoccupazione nel settore, con il rischio che l’industria della filiera automobilistica italiana, che ha rappresentato da sempre una delle principali fonti di lavoro e sviluppo, venga ulteriormente marginalizzata.
In questo contesto, le politiche industriali devono intervenire in modo deciso per sostenere la transizione del settore. Le scelte politiche in merito alla formazione del capitale umano, alla ricerca e sviluppo e alla creazione di una filiera innovativa per la mobilità sostenibile sono determinanti. Tuttavia, il governo italiano sembra essere ancora in fase di riflessione rispetto alle politiche da adottare, non avendo ancora implementato una strategia chiara e articolata per affrontare queste sfide.
Lo scorso 11 ottobre, il CEO del Gruppo Stellantis, Carlos Tavares, si è recato presso la Camera dei deputati dove è stato ascoltato per la prima volta da maggioranza ed opposizione, nelle commissioni riunite di Attività produttive della Camera e Industria del Senato. Il CEO portoghese ha chiesto l’intervento della politica italiana per risollevare il mercato dell’auto dal suo stato attuale portando all’attenzione il problema dell’accessibilità economica. Secondo Tavares, occorre stimolare la domanda con “notevoli iniezioni di incentivi per aiutare la classe media”. L’AD ha anche ribadito la centralità dell’elettrico che ha definito però come un “qualcosa non creato da noi” per cui “servirà un’economia di scala per affrontare questo caos”, ma ha comunque rassicurato sulle capacità adattative del Gruppo Stellantis. Tavares ha ribadito la sua lealtà al territorio italiano, lealtà che sembra però condizionata dagli aiuti dello Stato stesso, in quanto il CEO ha invitato i parlamentari a creare una stabilità economica tramite la riduzione dei costi sull’elettrico, che sarebbero più alti del 40% nel territorio italiano, soprattutto di fronte al vantaggio competitivo detenuto dalla Cina. Tavares ha spiegato che il suo piano industriale per l’Italia è fino al 2030 e che è necessario capire come assorbire quel 40% prima di assegnare nuovi veicoli perché per vendere più auto al medesimo prezzo è necessario abbassare i costi. L’incontro è durato tre ore ed è stato molto ruvido, il CEO non ha raccolto il consenso dei parlamentari, che hanno interpretato tale scambio piuttosto come una sorta di braccio di ferro con il Governo italiano.
L’intervento di Tavares è un ottimo spunto per comprendere come un sistema di incentivi sia ormai insufficiente per fronteggiare questa problematica, ma serve piuttosto una revisione integrale delle politiche statali in materia perché, come vedremo, esse si appoggiano su un sistema normativo piuttosto obsoleto e poco competitivo. Per fronteggiare la crisi del settore automobilistico nel nostro Paese, uno spunto interessante sarebbe quello di guardare all’estero al fine di allineare la normativa fiscale interna con quelle degli altri stati comunitari al fine di sopperire in questa posizione di svantaggio competitivo. Si è accennato lo squilibrio rispetto agli altri paesi europei in tema di immatricolazioni di auto aziendali, queste ultime rappresentano una fetta importante dell’immatricolato annuo italiano, nel 2023, infatti, in nove mesi sono state immatricolate 1.216.011 auto e il 41.7% di queste sono dirette alle Aziende, per questo una politica fiscale più favorevole rivolta a queste ultime porterebbe con sé diverse opportunità. Il motivo principale di detto squilibrio è l’accanimento fiscale all’interno del nostro Paese che ha visto come protagonista innanzitutto l’Iva, in Italia detraibile solo al 40% in seguito a numerose diatribe, mentre all’estero la detraibilità dell’Iva sulle auto per le Aziende è totale. Inoltre, forti limitazioni sono state introdotte dal Fisco anche per la deducibilità del costo di acquisto delle autovetture che è da molti anni limitata al 20% di un massimale di 18.076 euro. Occorre focalizzarsi sulla singolarità di tale importo, in quanto, una somma così sprecisa deriva dalla conversione degli originali 36milioni di lire cui si riferisce la norma datata ad oltre trenta anni fa; questo dato è significativo per sottolineare l’arretratezza delle politiche italiane in materia, che ovviamente porta con sé una scarsa competitività sul mercato europeo. Una politica fiscale altrettanto feroce riguarda anche i costi di esercizio. Affinché il mercato italiano possa recuperare un vantaggio sul panorama europeo, sarà necessario accordare alle aziende italiane la stessa detraibilità prevista negli altri Paesi dell’Unione, cioè la detraibilità integrale per l’acquisto di auto aziendali e per i costi di esercizio. Se ci fosse una controparte forte oggi al tavolo delle trattative potrebbe pensare di proporre al Governo una detraibilità totale dei costi di acquisto e di gestione per chi acquista una nuova auto, mantenendo l’indeducibilità dell’Iva al 60% ed andando dunque ad agire solo sull’imponibile affermando la sua totale deduzione. Questa soluzione impatterebbe su oltre 600mila potenziali nuovi acquisti.
Il parco auto italiano, che ad oggi sfiora un’età media di 13 anni, si ringiovanirebbe, in quanto i nuovi acquisti accompagnati dalla favorevole detraibilità sono auto nuove, siano esse elettriche o ad alimentazione endotermica benzina o diesel a bassissime emissioni. Le Aziende hanno in uso auto mediamente più recenti dei privati, e se quelle che stanno pagando un’auto con l’attuale deducibilità avessero la possibilità di sostituirla con una a deducibilità totale, è presumibile che lo farebbero, e le auto attualmente in uso si riverserebbero sul mercato dell’usato aumentando l’offerta per i privati che, allora volta hanno in uso auto più vetuste e che, però, non si avvicinerebbero all’acquisto di un’auto nuova per ovvie motivazioni di capacità di spesa.
L’Erario avrebbe inizialmente un incremento di gettito IVA e un decremento delle imposte dovuto alla maggiore deducibilità fiscale, ma spalmato nel periodo di ammortamento dei beni, che per le auto in Italia la legge stabilisce essere generalmente di quattro anni.
Poco quantificabile, ma significativa sarebbe anche la ricaduta positiva sull’indotto che si genererebbe in quanto la filiera presente in Italia occupa un significativo numero di Aziende e, di conseguenza, di individui.
Un nuovo strumento giuridico a disposizione dello stato italiano che consentirebbe al governo di provvedere con efficacia e rapidità alle problematiche sopra enunciate, è rappresentato dalla legge 14 agosto 2013, n.11, c.d. legge delega per la revisione del nostro sistema tributario. Con questa normativa, si attribuisce al Governo la possibilità di legiferare riguardo la revisione del sistema tributario, entro 24 mesi dall’entrata in vigore della norma, mediante l’emanazione di uno o più decreti legislativi.
La crisi dell’auto come opportunità: riforma e rinascita per un settore che cambia
In sintesi, la cessione di FCA al Gruppo Stellantis e le problematiche legate al calo delle immatricolazioni e alla transizione verso l’elettrico mettono in evidenza la difficile situazione del settore automobilistico in Italia. La crisi, però, non deve essere vista come un dato ineluttabile, bensì come una sfida che può essere affrontata con politiche fiscali ed industriali mirate, investimenti in ricerca e sviluppo e una maggiore attenzione al capitale umano. La transizione ecologica è necessaria, ma deve essere accompagnata da politiche di supporto che garantiscano la competitività e l’occupazione nel settore. L'Italia, pur essendo in una fase di difficoltà, ha ancora le potenzialità per giocare un ruolo da protagonista nella nuova mobilità sostenibile, se saprà rispondere in modo tempestivo ed efficace alle sfide del presente.
Bibliografia
Il Sole 24 Ore, "FCA e Stellantis: la cessione e le ricadute per l'occupazione" (4 novembre 2024)
Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), Rapporto Annuale 2022
ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), Statistiche settore auto, 2024
"La transizione ecologica e il settore automotive" – Ministero dello Sviluppo Economico, 2023
Il Corriere della Sera, “Tavares (Stellantis) scontro in Parlamento. Le accuse dei politici. E lui chiede altri incentivi” (12 ottobre 2024)
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