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D. Steinhaus; L. Vergari

SCINDIAMOCI, MA COME?

La scissione non proporzionale tra diritto societario e tributario


Per comprendere in che consista la scissione non proporzionale e come essa si inserisca nell’ordinamento giuridico europeo, è utile procedere ad una breve panoramica dei caratteri generali dell’operazione e dell’evoluzione della sua disciplina.

La scissione è l’operazione straordinaria mediante la quale una società trasferisce, in tutto o in parte, il proprio patrimonio ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione e contestualmente assegna ai propri soci le corrispondenti azioni o quote[1].


Disciplina civile

Tale operazione – sulla cui legittimità in passato sussistevano fondati dubbi, dovuti all’assenza di una disciplina specifica nel Codice civile del 1942[2] – è stata regolata per la prima volta dalla Sesta Direttiva CEE[3], emanata nel 1982 e attuata nell’ordinamento italiano per opera del d.lgs. 22/1991. Scopo della direttiva, come si evince dai suoi considerando, è fornire tutela giuridica agli interessi dei soci e dei terzi coinvolti in una scissione, per mezzo dell’introduzione di garanzie equivalenti a quelle fornite, nei confronti delle fusioni, dalla direttiva 78/855/CEE. In particolare, la direttiva mira ad “assicurare agli azionisti delle società partecipanti alla scissione un’informazione adeguata e quanto più obiettiva possibile, nonché garantire un’appropriata tutela dei loro diritti” e a tutelare “i creditori, obbligazionisti o no, ed i portatori di altri titoli delle società partecipanti alla scissione”.

L’approccio adottato dalla direttiva comunitaria non è stato quello di prescrivere l’introduzione, negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, dell’istituto della scissione, né, a maggior ragione, quello di imporre incondizionatamente l’adozione, da parte degli stessi, di una certa disciplina dell’operazione. Piuttosto, la direttiva subordina l’obbligo di sottoporre la scissione alla regolamentazione contenuta nella direttiva stessa alla libera scelta degli ordinamenti nazionali circa l’opportunità di consentire o meno alle società per azioni di realizzare una scissione[4].

I due tipi di scissione contemplati dalla normativa comunitaria sono: (a) la scissione mediante incorporazione; e (b) la scissione mediante costituzione di nuove società. Nel primo caso, una società trasferisce a più società preesistenti il suo patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli azionisti della società scissa di azioni delle società beneficiarie dei conferimenti risultanti dalla scissione (ed eventualmente di un conguaglio in denaro sottoposto ad alcuni limiti quantitativi[5]). Nel secondo caso, il patrimonio attivo e passivo della società scissa è trasferito a più società di nuova costituzione, nascenti cioè per gemmazione dalla società che si scinde[6].

Il progetto di scissione – da redigere a cura degli organi di amministrazione o di direzione delle società partecipanti alla scissione – deve indicare, tra l’altro: (i) la descrizione e la ripartizione esatte degli elementi del patrimonio attivo e passivo da trasferire a ciascuna delle società beneficiarie; e (ii) la ripartizione tra gli azionisti della società scissa delle azioni delle società beneficiarie, nonché il criterio sul quale si basa tale ripartizione[7]. Tale ultimo criterio deve essere anche oggetto (sebbene non esclusivo) di una “relazione scritta particolareggiata che illustri e giustifica, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di scissione”, redatta dagli stessi organi di amministrazione o di direzione. In aggiunta, è prevista, per ciascuna delle società partecipanti alla scissione, una relazione scritta, destinata agli azionisti, redatta da uno o più esperti indipendenti dalle società stesse, designati o abilitati da una autorità giudiziaria o amministrativa.

La competenza ad approvare la scissione spetta all’assemblea generale di ciascuna delle società partecipanti alla scissione (con le maggioranze previste in materia di fusione), salvo che sussistano determinate condizioni dirette ad assicurare un’adeguata e tempestiva conoscenza del progetto di scissione da parte dei soci[8].

Nell’ottica di offrire protezione agli interessi degli azionisti, anticipata nei considerando della direttiva, è richiesto che, almeno un mese prima della data di riunione dell’assemblea generale che deve deliberare sul progetto di scissione, ogni azionista abbia il diritto di prendere visione, presso la sede sociale, di una serie di documenti, inclusi il progetto di scissione, le relazioni degli organi di amministrazione o di direzione delle società partecipanti alla scissione e le relazioni degli esperti[9].

La finalità di fornire tutela agli interessi dei creditori delle società partecipanti alla scissione (e, più in particolari, quelli che vantano crediti che siano anteriori alla pubblicazione del progetto di scissione e che non siano ancora scaduti al momento della pubblicazione) si concretizza, invece, nelle previsioni secondo cui le legislazioni degli Stati membri devono quanto meno prevedere che tali creditori abbiano il diritto di ottenere adeguate garanzie, qualora le situazioni finanziarie della società scissa e della società cui sarà trasferito l’obbligo rendano necessaria tale tutela e qualora detti creditori non dispongano già di tali garanzie. Inoltre, nella misura in cui non sia stato soddisfatto un creditore della società alla quale è stato trasferito l’obbligo, le società beneficiarie sono solidalmente responsabili di questo obbligo.

All’interno della direttiva comunitaria, alla scissione non proporzionale è dedicato esclusivamente il comma 2 dell’articolo 5, il quale stabilisce che “Se le azioni delle società beneficiarie sono attribuite agli azionisti della società scissa non proporzionalmente ai loro diritti sul capitale di tale società, gli Stati Membri possono prevedere che gli azionisti minoritari di quest’ultima possono esercitare il diritto di far acquistare le loro azioni”. La scissione non proporzionale si verifica dunque qualora il progetto di scissione preveda una distribuzione non proporzionale delle azioni o quote delle beneficiarie, in modo comunque da garantire che il valore complessivo della partecipazione sociale di ogni azionista resti invariato. L’articolo in questione propone il diritto a farsi acquistare le azioni (sell-out right) agli azionisti di minoranza contrari all’operazione come strumento di tutela a favore di questi. Sebbene questa soluzione sia stata adottata da alcuni Stati Membri, tra cui ad oggi l’Italia[10], si ritiene che questi possano prevedere maggiori tutele per gli azionisti di minoranza nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali. Ad esempio, in Italia il previgente articolo 2504-septies sanciva il diritto di veto del socio di minoranza ad opporsi alla scissione non proporzionale, il quale peraltro continua ad esistere in altri ordinamenti europei[11].

Come conseguenza dell’ampia libertà di cui si possono avvalere gli Stati Membri, la disciplina della scissione è eterogenea tra i vari paesi europei. In Italia vi è una disciplina particolarmente permissiva, in quanto è consentita sia la scissione parziale sia totale ed è possibile scindere anche solo singole attività, sebbene dotate di un valore contabile negativo, purché abbiano un valore economico positivo. In altri Stati è invece possibile scindere solo un complesso di beni costituenti nel loro complesso una azienda[12]. Alcuni paesi poi, tra cui l’Olanda, non hanno introdotto del tutto l’istituto nel loro ordinamento.

Ulteriore particolarità della scissione non proporzionale in Italia è ravvisabile nel comma 2 dell’articolo 2506 del Codice civile, il quale stabilisce che con consenso unanime ad alcuni soci non siano distribuite in concambio azioni delle beneficiarie, ma della scissa stessa. Attraverso la scissione, dunque, sarebbe possibile anche rimodulare la compagine sociale della società scissa e non solo quella delle beneficiarie. Data la portata dirompente della norma e i rilevanti interessi in gioco, è richiesto che tutti i soci siano d’accordo sulla diversa configurazione dell’azionariato della scissa.


Disciplina fiscale

Sebbene in Italia la scissione non proporzionale abbia ottenuto pieno riconoscimento giuridico nell’ordinamento, il legislatore fiscale ha sempre guardato con diffidenza siffatte operazioni, in quanto si prestano ad essere impiegate in schemi fiscalmente elusivi e pertanto censurabili. Ciò è particolarmente vero in quanto la scissione, come altre fattispecie di operazioni di riorganizzazione societaria, gode della neutralità fiscale[13].

Il comma 16 del previgente articolo 123-bis del TUIR, in forza del quale era espressa una presunzione di elusività nei confronti della scissione non proporzionale, ha per anni costituito il punto di riferimento dell’Amministrazione Finanziaria sul tema. L’Agenzia delle Entrate, particolarmente in seguito all’introduzione del concetto di abuso del diritto nel nostro ordinamento[14], sovente contestava le scissioni non proporzionali argomentando a partire dalla generale intenzione del contribuente di conseguire un vantaggio fiscale dalla transazione. Solo a seguito dell’introduzione dell’articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente[15] e dell’abrogazione dell’articolo 123-bis del TUIR ad opera del d.lgs. 344 del 2003 il legislatore ha mutato la propria prospettiva e ha legittimato le valide ragioni economiche che si possono celare dietro una scissione non proporzionale.

Nell’ambito delle scissioni transfrontaliere, quindi coinvolgenti società residenti in paesi UE, persistono in merito ancora incertezze sul trattamento fiscale. L’articolo 178 del TUIR, infatti, esclude dall’ambito oggettivo della normativa la scissione non proporzionale, la quale pertanto è da ritenere realizzativa ai fini fiscali.


Conclusioni

La scissione ha la fama di essere uno degli istituti più complessi in ambito societario. I rilevanti interessi meritevoli di tutela dei soci, dei creditori e della società sono contemperati dai numerosi adempimenti di legge, dalle scadenze e dalla ricca documentazione da predisporre. Il legislatore non si scorda però dell’esigenza di celerità che certe operazioni straordinarie richiedono, prevedendo la derogabilità con il consenso unanime dei soci di certi obblighi di legge[16]. In conclusione, come si ha avuto modo di provare, la scissione è un istituto giovane che ancora conserva delle differenze rilevanti nel panorama europeo, mentre in ambito fiscale deve ancora darsi piena attuazione alla libertà di stabilimento[17] delle società. Non è più una questione di “se” ma di “quando”.



[1] Art. 2506 c.c. [2] Campobasso, Diritto commerciale. Vol. 2, p. 668. [3] Sesta direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa alle scissioni delle società per azioni. [4] Art. 1, direttiva 82/891/CEE. [5] In particolare, il conguaglio in denaro non può essere superiore al 10 % del valore nominale delle azioni attribuite o, in mancanza di valore nominale, del loro equivalente contabile: art. 2, direttiva 82/891/CEE. [6] Artt. 2 e 21, direttiva 82/891/CEE. Nell’ordinamento italiano, si distingue anche fra scissione totale, ove l’intero patrimonio della società che si scinde viene trasferito a più società (in tal caso, la società scissa si estingue senza che però si abbia liquidazione della stessa, dato che l’attività continua tramite le società beneficiarie della scissione), e scissione parziale, ove solo parte del patrimonio della società che si scinde viene trasferita ad una o più altre società (in tal caso, la società scissa resta in vita, sia pur con un patrimonio ridotto). [7] Art. 3, par. 2, lett. h), i), direttiva 82/891/CEE. [8] Art. 6, direttiva 82/891/CEE. [9] Art. 9, direttiva 82/891/CEE. [10] Art 2506 bis c.c. [11] Section 128, UmwG [12]Spanish Law 3/2009, art 70 [13] Per maggiori informazioni si veda l’attuale articolo 173 TUIR [14] Sentenza Cassazione 20106/2009 [15] D.L. 212 del 2000 [16] Vedasi gli artt. 2501-quater, 2501 quinquies, 2501 sexies, 2501 septies [17] Articolo 49 TFUE

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