Introduzione
Per poter comprendere e valutare pienamente il contenuto di questo articolo, è opportuno ricordare che con il concetto di azienda intendiamo “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art 2555 cc).
L’imprenditore, per una serie di motivi, una volta che decide di disfarsi della sua attività, dovrà procedere con una prioritaria valutazione dell’asset, solitamente composto dal valore commerciale dell’azienda sommato alla sua patrimonialità e all’avviamento commerciale.
La cessione di azienda è quindi qualificabile come un’operazione straordinaria mediante la quale l’imprenditore cede a terzi la sua attività imprenditoriale, o una parte di essa, dietro pagamento di un prezzo di cessione.
Con “cessione di partecipazioni”, invece intendiamo una vendita vera e propria con cui un socio cede la propria quota a un altro socio oppure ad un terzo estraneo, che entra così a far parte della società.
Le due operazioni hanno diverse caratteristiche sia sotto il profilo giuridico-contrattuale sia sotto il profilo fiscale.
Profili civilistici
Innanzitutto, è opportuno menzionare l’obbligo di non concorrenza, evidenziato dall’art 2557 cc. Questo assume particolare rilevanza nell’ambito della cessione di azienda, poiché il legislatore cerca di contemperare due opposte esigenze:
Per l’acquirente, quella di godere dell’azienda acquisita, trattenendo la clientela e godere dell’attività avviata.
Per l’alienante, quella di non vedere eccessivamente limitata la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco temporale.
Ai sensi dell’art 2557 cc, l’alienante dell’azienda non può costituire una nuova impresa che, per le sue caratteristiche, possa sviare la clientela dell’azienda ceduta, per i 5 successivi al trasferimento; non può tuttavia essere impedita ogni attività professionale dell’alienante.
A contrario, per quanto riguarda la cessione di quote societarie, una recente sentenza della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.19430), ha escluso il diritto al risarcimento dei danni del socio ricorrente per la violazione del divieto di concorrenza di cui all’art 2557 cc, non riconoscendo nell’acquisto di una quota societaria (40%) da parte del ricorrente il trasferimento dell’avviamento societario.
Un diverso orientamento giurisprudenziale sostiene però che la norma in questione sia invece applicabile in tutti quei casi nei quali, attraverso la cessione di partecipazioni sociali, si concretizzi un fenomeno di sostituzione dell’imprenditore nella gestione dell’impresa. In particolare, sembrerebbe che la giurisprudenza rinvenga tale ipotesi qualora venga ceduto il controllo societario e, quindi, in primis qualora venga ceduta la maggioranza del capitale sociale.
Sia il trasferimento dell'azienda che quello delle azioni sono soggetti a successione contrattuale:
-L'acquirente dell'azienda diventa automaticamente l'avente diritto ai contratti dell'azienda trasferita, che non sono di natura puramente personale per il venditore;
-il cedente è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti dell'azienda ceduta contratti prima del trasferimento (se sono registrati in contabilità);
-il trasferimento di azioni libera completamente la parte cedente dal contratto con la società di cui era azionista. Questo perché il cedente lascia la società e sarà il nuovo socio a beneficiare o a sostenere i debiti ed i crediti della società.
Per quanto riguarda i contratti di lavoro invece, questi continuano automaticamente dopo il trasferimento e le parti sono responsabili in solido per i debiti dei dipendenti non pagati.
Nei casi nei quali si opti per il trasferimento dell’azienda, si deve affrontare inoltre il rapporto con i dipendenti.
Se nei casi di cessione di quote, infatti, il soggetto giuridico (società) resta il medesimo e l’unica variazione riguarda la proprietà, la situazione può essere diversa nelle ipotesi di trasferimento di azienda.
In questi casi il rapporto di lavoro, così come tutti i contratti in essere, si trasferisce alla compagine che acquisisce l’azienda.
Ciò comporta il pieno mantenimento di tutti i diritti acquisiti da parte dei lavoratori, il che significa che l’acquirente dovrà garantire le medesime condizioni contrattuali (con lo stesso contratto oppure con altro di pari livello) senza arrecare alcun pregiudizio ai dipendenti. Questo trasferimento avviene però senza il consenso del dipendente.
Fa eccezione a questo principio l’ipotesi nella quale la cessione riguardi solamente un ramo di azienda; in tal caso, il dipendente facente parte di altro ramo non ceduto dovrà prestare consenso.
La dottrina, inoltre, al fine di evitare violazioni che si possano ripercuotere sui dipendenti, ha previsto una responsabilità solidale e congiunta tra il soggetto venditore e l’acquirente dell’azienda nei confronti del dipendente, con riferimento ai crediti che il lavoratore vanta al momento del trasferimento. In sostanza, in mancanza di pagamento il dipendente potrà avanzare le proprie pretese nei riguardi di entrambi i soggetti (acquirente e venditore). Rimane prevista, in ogni caso, la possibilità per il lavoratore di rinunciare all’azione nei confronti del soggetto venditore, a condizione che tale rinuncia sia effettuata nelle commissioni delle Direzioni Provinciali del lavoro.
Un altro aspetto da evidenziare riguarda le violazioni tributarie: per quanto concerne la cessione d’azienda, l’acquirente è responsabile in solido con l’alienante per le violazioni tributarie relative all’anno di cessione e ai due esercizi precedenti a tale data. Nel caso in cui invece vi sia un acquisto di quote da parte di un socio subentrante, questo, entrando a far parte della società si accollerà anche tutti i debiti tributari.
Profili fiscali
Le operazioni di cessione d’azienda e di partecipazione, oltre a differire sul piano strategico e civilistico, presentano un trattamento fiscale distinto. In particolare, gli articoli che si esprimono in merito alla tassazione dell'eventuale ricchezza prodotta sono l’articolo 86 e 87 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
La cessione d’azienda, in quanto contratto con il quale il cedente trasferisce il diritto di proprietà del complesso dei beni aziendali al cessionario in cambio di un corrispettivo, in danaro o in natura, può generare plusvalenze o minusvalenze, a seconda dei casi. Ciò risulta dal comma 2 dell’articolo 86, il quale afferma che “Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente a titolo oneroso”. La plusvalenza (o minusvalenza), in base al medesimo comma, emerge dalla differenza fra il corrispettivo ricevuto e il costo non ammortizzato.
Il legislatore prevede due regimi diversi applicabili alla fattispecie di reddito anzidetta: il regime ordinario e il regime “opzionale”. Secondo la prima modalità la plusvalenza (o minusvalenza) concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui questa si è realizzata (art 86 comma 4). In deroga a quanto anzidetto, se l’azienda è stata posseduta per un periodo non inferiore a tre anni, è possibile optare in sede di dichiarazione dei redditi per la tassazione della stessa a quote costanti a partire dall’esercizio stesso e non oltre il quarto esercizio successivo. (art 86 comma 4).
In questo modo è agevolato il contribuente che abbia generato un rilevante valore di avviamento soggettivo ed oggettivo nei precedenti periodi d’imposta, attraverso una dilazione dell’importo dovuto per un massimo di cinque anni, a partire dall’esercizio in corso.
Per quanto concerne la cessione di partecipazioni, il legislatore prevede anche qui una duplice modalità di tassazione dell’eventuale plusvalenza. Difatti quest’ultima, determinata ai sensi dell’articolo 86 comma 1, 2 e 3, è esente nella misura del 95% qualora si soddisfino alcuni requisiti, dettati dall’articolo 87. Se anche una sola delle condizioni anzidette non risultino realizzate, il provento risulterà imponibile per l’intero ammontare.
In particolare, per beneficiare del regime di esenzione delle plusvalenze (PEX, Partecipation Exemption) vi sono quattro requisiti:
La partecipazione deve essere stata posseduta ininterrottamente a partire dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello in cui la cessione risulta realizzata (holding period);
La partecipazione deve essere stata riclassificata tra le immobilizzazioni finanziarie nel bilancio chiuso durante il primo periodo di possesso;
La società partecipata non deve essere residente in un territorio a fiscalità privilegiata ai sensi dell’articolo 47 bis;
La società deve esercitare un'impresa commerciale ai sensi dell’articolo 55.
Il legislatore ha dunque inteso limitare la fruibilità del regime di esenzione alle partecipazioni “strategiche” in società operative. La giustificazione di un trattamento fiscale separato risiede nella volontà di evitare la doppia imposizione economica, in quanto le plusvalenze riflettono un maggior valore della società già tassato in capo a quest’ultima. Ulteriore elemento da considerare è che, poiché le plusvalenze sono esenti, le minusvalenze sono indeducibili ai fini delle imposte sui redditi (art 109 comma 5).
Alla luce della presente trattazione è chiaro come la cessione di partecipazioni risulti fiscalmente più conveniente della cessione di aziende, qualora si possa usufruire della partecipation exemption.
Il favore legislativo per il regime di cui all’articolo 87 è espresso anche dal comma 3 dell’articolo 176, secondo cui il conferimento di azienda in continuità di valori, operazione fiscalmente neutrale ex articolo 176 comma 1, e la conseguente cessione della partecipazione non rileva ai fini dell’articolo 37 bis del DPR 600/1973, ora articolo 10 bis della L 212/2000, ossia non è considerata operazione fiscalmente elusiva.
BIBLIOGRAFIA
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