INTRODUZIONE
La Silicon Valley Bank è una banca poco nota al grande pubblico. Fondata nel 1983 a Santa Clara (CA), era di recente diventata uno dei centri più importanti per le aziende di tecnologia e per le startup. Nel 2021 la banca si attestava al sedicesimo posto tra gli istituti statunitensi per dimensioni di asset. Volendo fornire qualche dato, alla fine del 2021 la banca contava qualcosa come 209 miliardi di dollari di asset e 175,4 miliardi di depositi, saliti fino a 250 miliardi all’11 marzo scorso rispetto ai soli 44 miliardi del 2017. I principali investitori della banca californiana erano per lo più provenienti da società tecnologiche tanto che, con la crescita del settore favorita dalla pandemia, l’istituto era ben presto diventato un punto di riferimento nella zona. La crisi che di recente ha colpito il mondo tech, unitamente all’aumento dei tassi di interesse e ad una politica monetaria restrittiva decisi dalla banca centrale statunitense per contrastare la crescente inflazione, hanno tuttavia portato molti clienti a dubitare della solidità della banca togliendo i propri depositi, è questa la premessa che permette di guardare nel dettaglio agli eventi degli scorsi giorni.
L’8 marzo scorso un ramo della banca, la SVB Financial Group, ha annunciato la vendita di titoli e bond per 21 miliardi di dollari allo scopo di acquistare altro capitale in grado di sostenere gli investimenti dei correntisti, al costo di una perdita di 2 miliardi che ha portato molti clienti a ritirare i propri depositi nella più classica corsa agli sportelli. A causa di questi presupposti la banca ha dichiarato il fallimento: con un buco di bilancio di 1,8 miliardi di dollari, il fallimento di SVB è il più grande dal 2008.
Per rispondere a questa emergenza finanziaria il governo americano, insieme agli altri due più importanti istituti di credito, Federal Reserve e Fdic, ha preso la decisione di fungere da garanzia per le perdite degli investitori: attraverso la creazione di un fondo di salvataggio emergenziale, il dipartimento del tesoro si occuperà di pagare il debito dei correntisti lesi dal fallimento della banca. Le somme necessarie per l’operazione sono state prese dal fondo di assicurazione della Fdic in una scelta che ha permesso di non gravare sui contribuenti determinando piuttosto una sorta di “salvataggio a metà”. La scelta ha suscitato le perplessità di alcuni analisti: ad esempio, secondo la spagnola Bestinver, la creazione del fondo di salvataggio non è stata una scelta ottimale, in quanto ha contribuito a diffondere il rischio anche ad altre banche che, se dovessero fallire, sarebbero a loro volta sostenute da altre banche determinando un aumento dei premi per il rischio degli istituti più solidi e rendendo l’eventuale successiva crisi più imponente.
Ro Khanna, membro del congresso del diciassettesimo distretto della California ha recentemente dichiarato: “SVB è la linfa vitale dell’ecosistema tecnologico per cui risulterà difficile che il governo la faccia fallire definitivamente”.
POSSIBILI CONSEGUENZE SUL SISTEMA BANCARIO US
In linea di principio non si temono particolari rischi di contagio al sistema bancario per gli investitori. Non dovrebbero esserci grandi sorprese in termini di perdite non realizzate sul portafoglio obbligazionario delle principali banche statunitensi poiché queste sono obbligate ad utilizzare la contabilità “mark-to-market”, quindi devono rivalutare il proprio portafoglio obbligazionario al valore di mercato quando pubblicano i loro risultati trimestrali. In generale le banche hanno posizioni di liquidità molto sane e quindi non vi è necessità di vendere obbligazioni per garantire il rimborso dei depositi. SVB è infatti un caso singolare e le sue difficoltà sono dovute alla sua gestione di cassa e di bilancio particolarmente carente, soprattutto in considerazione del suo modello di business e della base clienti. Come si diceva, i bilanci delle principali banche americane sono sani per quanto alcune banche regionali, soprattutto in California, stanno soffrendo di deflussi di depositi ma ciò non sorprende dato il contesto. I Credit Default swapp (CDS) delle banche americane si sono allargati di appena pochi punti base, inoltre siamo ancora lontani dai picchi raggiunti in ottobre durante la crisi della ristrutturazione del Credit Suisse.
Gli spread creditizi dei corporate investment grade sono aumentati di circa lo 0,1% e quelli degli high Yield di circa lo 0,5%, aumenti di per sé veramente limitati che anzi potrebbero portare le grandi banche statunitensi a trarre vantaggi dalla situazione se i clienti dovessero spostare i loro depositi dalle banche sotto stress.
LE RIPERCUSSIONI A LIVELLO MONDIALE E SUI MERCATI FINANZIARI
Ad ogni modo, quello della Silicon Valley Bank è uno dei più grandi fallimenti registrati negli Stati Uniti dai tempi della crisi finanziaria del 2008, nonché la seconda bancarotta più importante nella storia americana, e ciò lascia temere un effetto domino pericoloso per l’economia mondiale. Questo crollo ha in effetti fatto precipitare diverse piazze finanziarie mondiali, scosse ancora di più dalla caduta senza precedenti delle azioni di Credit Suisse, il numero due nel settore bancario elvetico. Questo crac ha infatti comportato il collasso di più del 10% delle banche europee in una settimana, come i gruppi francesi BNP Paribas e SG. Dopo essere stati scossi così violentemente, sembrerebbe però che i mercati stiano ritrovando un equilibrio. Il Financial Times, in un articolo di domenica 19 marzo, riportava la notizia secondo cui la banca rivale di Credit Suisse, UBS, si è decisa a raggiungere un accordo, mediato dal governo svizzero, per l’acquisto totale dell’istituto di credito per un valore di 3,2 miliardi di dollari. Di fatti, con la veloce svalutazione del valore delle sue azioni, la capitalizzazione di mercato di Credit Suisse è drasticamente diminuita, e ciò rende potenzialmente la banca una preda facile da assorbire. Fondata 166 anni fa per sviluppare la rete ferroviaria in Svizzera, da banca la Credit Suisse era passata negli anni a diventare una vera e propria istituzione, divenendo uno dei più conosciuti e rispettati simboli della confederazione elvetica, arrivando a trovarsi allo stesso livello di giganti mondiali come JP Morgan Chase. Proprio anni di scandali, malagestione, scommesse perse e tentativi vani di cambiamento, come riporta sempre il Financial Times, hanno causato un deterioramento della sua reputazione nel mercato globale, ed hanno fatto sì che si trovasse spesso al centro di importanti cause legali. Questi giorni sono delle “giornate storiche, che onestamente avremmo sperato di non vedere mai arrivare” ha commentato Colm Kelleher, presidente del gruppo UBS, davanti agli analisti la scorsa domenica.
Le banche centrali sembrano aver accolto positivamente la notizia del salvataggio di Credit Suisse mediata dal governo di Berna, come riporta la testata Bloomberg in un articolo del 19.03.2023, dove si sottolinea il giudizio positivo del segretario del tesoro americano Janet Yellen e dell’attuale presidente della Federal Reserve Jerome Powel, i quali affermano che “appoggiano l’annuncio fatto dalle autorità elvetiche volto a garantire la stabilità finanziaria” mondiale e ricordano che il sistema bancario americano, per quanto riguarda capitalizzazione e liquidità, è “resiliente e forte”, aggiungendo anche che le autorità americane sono rimaste in stretti contatti con i rispettivi partners internazionali per affrontare al meglio la vicenda.
Anche la Banca Centrale Europea, con una dichiarazione della sua presidente Christine Lagarde, ha salutato positivamente l’azione rapida effettuata dal governo svizzero, sottolineando come la scelta presa sia strumentale a ristabilire condizioni ordinarie del funzionamento dei mercati e garantire la stabilità finanziaria. Pure in questo caso la presidente della BCE ha voluto ricordare quanto il settore bancario europeo sia resiliente e stabile, e che la “cassetta degli attrezzi” a disposizione dell’istituzione di Francoforte è “pienamente equipaggiata per garantire liquidità alla zona Euro”.
Un’ultima approvazione sull’operato del governo di Berna viene dalla Banca di Inghilterra, la quale ripete gli elogi fatti sulla tempestività ad agire per far fronte alla crisi di Credit Suisse, insistendo anche in questo caso sulla solidità del sistema bancario inglese.
Tutto ciò, ricordiamolo, avviene in un contesto segnato ormai da tempo da un’inflazione che persiste e da un aumento dei tassi di interesse, che influenzano a loro volta la quantità di denaro che può essere preso in prestito, condizionando vari settori dell’economia a livello nazionale ed europeo, se non mondiale, in modo particolare per quel che concerne le dinamiche del mercato immobiliare. In Europa, dove i tassi nell’arco di un anno sono passati dall’1% al 3%, ciò ha comportato, in maniera più visibile in Italia ma anche in alcuni paesi confinanti come la Francia, una diminuzione dei prezzi degli immobili, con un calo a Parigi del 1,2%, tendenze che possono essere riscontrate anche da noi, come si evince dal sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni, condotto dalla Banca d’Italia, dall’Agenzia delle Entrate e da Tecnoborsa, in cui si riporta come la quota di acquisti finanziati da mutuo sia scesa, che “il divario fra prezzi offerti e domandati resta la causa prevalente di cessazione degli incarichi a vendere” e che le prospettive rimangono negative, nonostante un continuo aumento dei canoni di affitto che non sembra fermarsi.
BIBLIOGRAFIA
Viktoria Dendrinou, Craig Torres and Angela Cullen 19 marzo 2023, Bloomberg. Michael de la Merced, Maureen Farrell and Andrew Ross Sorkin, “UBS Agrees to Buy Rival Credit Suisse”, Financial Times, 19.03.2023. Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia, Banca di Italia, 2.03.2023.
Today.it
WallstreetItalia.com
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