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Il Patto Fiduciario nel Trasferimento di Quote di Società di Persone

  • F. Peschini
  • 17 ott
  • Tempo di lettura: 7 min

1. LA NOZIONE E LA STRUTTURA DEL PATTO FIDUCIARIO

Il patto fiduciario è un accordo tra due soggetti, dove un soggetto (fiduciante) trasferisce formalmente un bene o un diritto a un altro (fiduciario), che si obbliga a comportarsi secondo un’intesa riservata tra le parti.

Si tratta di una figura atipica, non disciplinata dal codice civile, ma pienamente ammessa in virtù del principio di autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c.

La particolarità di questo accordo è la sua struttura duale; è appunto composto da due negozi distinti e funzionalmente collegati: uno avente effetti reali, gli altri effetti meramente obbligatori.

Sul piano esterno, il negozio fiduciario assume la forma di un atto reale, idoneo a trasferire la titolarità del diritto al fiduciario e a produrre effetti verso terzi. Questo trasferimento è effettivo e non simulato.

Accanto al negozio esterno possiamo trovare il pactum fiduciae, accordo che produce effetti obbligatori con il quale il fiduciario si impegna ad utilizzare il bene secondo le finalità pattuite. Questo accordo non produce effetti reali ma la causa del pactum risiede nel vincolo di destinazione funzionale del bene o del diritto.

Questi due negozi rimangono autonomi ma funzionalmente collegati. La violazione dell’accordo fiduciario non incide sulla validità del trasferimento, ma genera responsabilità contrattuale, quindi,determina un inadempimento dell’obbligazione assunto dal fiduciario.

Sul piano dei rapporti con i terzi, rileva solo il negozio esterno: i terzi non sono tenuti a conoscere l’accordo interno, perché questo ha effetti solamente sulle parti. Questa asimmetria costituisce una delle principali criticità pratiche del negozio fiduciario.

Questa dicotomia tra apparenza reale e vincolo obbligatorio si traduce, nella prassi, in due modalità di attuazione del patto fiduciario: una fondata sul trasferimento del diritto e l’altra sulla gestione di un diritto già esistente.

2. LE DUE FORME DI FIDUCIA: DINAMICA E STATICA

Si parla rispettivamente di fiducia dinamica e di fiducia statica. La fiducia dinamica è la forma più tipica e studiata. In questa forma, il fiduciante trasferisce la titolarità del bene o del diritto al fiduciario e quest’ultimo diventa realmente titolare verso i terzi, ma si obbliga internamente a ritrasferire. Qui possiamo riconoscere in modo chiaro la struttura duale del patto fiduciario: da un lato il negozio esterno, produttivo di effetti reali, dall’altro il pactum fiduciae, produttivo di effetti obbligatori. È detta dinamica perché la titolarità si muove: va dal fiduciante al fiduciario e poi ritorna.

Diversamente, nella fiducia statica il fiduciario è già titolare del diritto: non avviene nessun trasferimento reale. Il fiduciario però si obbliga a gestire o esercitare quel diritto secondo le istruzioni del fiduciante. In questa forma invece il piano esterno del patto fiduciario perde rilievo; il pactum fiduciae assume un ruolo centrale e quasi esclusivo, il vincolo fiduciario si traduce in un obbligo di gestione o destinazione del diritto.

In sintesi, nella fiducia dinamica la coesistenza dei due piani realizza pienamente la natura bifasicadel negozio fiduciario, mentre nella fiducia statica il rapporto si interiorizza, accentuando il carattere obbligatorio dell’istituto a scapito della componente reale.

Questa distinzione tra fiducia dinamica e statica non resta confinata nella teoria ma trova riscontro anche nella prassi giudiziaria. In tal senso, è significativa la sentenza del Tribunale di Roma del 10 gennaio 2024, che ha affrontato il tema della forma e degli effetti del patto fiduciario avente ad oggetto il trasferimento di una quota di società di persone, chiarendo la natura e la funzione delle due configurazioni dell’istituto.  

3. LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA

La pronuncia del Tribunale di Roma del 10 gennaio 2024 (n. 475/2024) affronta il tema della forma e degli effetti del patto fiduciario avente ad oggetto il trasferimento di una quota di società di persone, offrendo un’importante occasione per chiarire la struttura dell’istituto e la distinzione tra le sue possibili configurazioni.

Nel caso concreto, il giudice era chiamato a valutare la validità di un’operazione con cui un soggetto aveva acquistato, in qualità di fiduciario, una quota di partecipazione in una società di persone, sulla base di un accordo interno con il fiduciante che prevedeva il successivo ritrasferimento della quota.

Il Tribunale ha inquadrato tale operazione come una combinazione di due negozi distinti ma collegati: da un lato, un negozio esterno, di natura reale e traslativa, pienamente voluto e idoneo a produrre effetti verso i terzi; dall’altro, un pactum fiduciae di natura obbligatoria, volto a regolare i rapporti interni tra le parti e a vincolare il fiduciario al ritrasferimento della quota al fiduciante una volta realizzato lo scopo perseguito.

Il giudice ha così confermato che, anche nel contesto societario, la titolarità della quota si trasferisce realmente al fiduciario, che ne diventa titolare effettivo nei confronti della società e dei terzi, mentre il fiduciante conserva solo una posizione di diritto personale, fondata sull’obbligo di ritrasferimento. In questo senso, la sentenza riconosce pienamente la natura dinamica della fiducia, in cui coesistono un piano reale, produttivo di effetti verso l’esterno, e un piano obbligatorio, limitato ai rapporti interni.

Un punto centrale della pronuncia è l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1706 c.c., norma che regola gli effetti dell’acquisto del mandatario senza rappresentanza. Il Tribunale chiarisce che nel mandato gli effetti dell’acquisto si producono direttamente nel patrimonio del mandante, mentre nel patto fiduciario il fiduciario acquista in nome e per conto proprio, con effetti reali immediati nel suo patrimonio. Il rapporto fiduciario, dunque, non realizza un meccanismo di rappresentanza indiretta, ma una scissione tra titolarità formale e titolarità sostanziale, sorretta da un vincolo obbligatorio autonomo.

Particolarmente rilevante è poi la posizione assunta in tema di forma del patto fiduciario. Il Tribunale richiama l’art. 1351 c.c., che prevede l’equiparazione di forma tra contratto preliminare e definitivo solo quando quest’ultimo la richieda ad substantiam.

Muovendo da tale disposizione, la sentenza assimila il pactum fiduciae al contratto preliminare, ritenendo che esso, avendo natura meramente obbligatoria e non traslativa, non sia soggetto ad alcun vincolo di forma scritta, nemmeno ad probationem, neppure quando abbia ad oggetto quote sociali. L’unico negozio traslativo rimane quello esterno, mentre l’accordo interno conserva efficacia obbligatoria e può essere validamente concluso anche verbalmente, purché sia provata la volontà comune delle parti.

La decisione, pur riguardando un caso di fiducia dinamica, estende le proprie considerazioni anche alla fiducia statica, riconoscendone la piena autonomia concettuale. In quest’ultima ipotesi, il fiduciario è già titolare del diritto e si obbliga semplicemente a esercitarlo o gestirlo secondo le indicazioni del fiduciante, senza che si verifichi alcun trasferimento reale. L’elemento centrale non è quindi il movimento del diritto, ma l’impegno fiduciario di destinazione o gestione.

Nel complesso, la sentenza offre una ricostruzione chiara e coerente dell’istituto, valorizzando il principio di autonomia negoziale sancito dall’art. 1322 c.c. e confermando la legittimità del patto fiduciario anche nel contesto societario, purché sorretto da una causa meritevole di tutela. Essa contribuisce a consolidare la distinzione tra piano reale e piano obbligatorio e a confermare la validità tanto della fiducia dinamica quanto di quella statica, entrambe riconosciute come espressioni diverse della medesima causa fiduciaria.

4. ANALISI CRITICA E RILIEVI SISTEMATICI

La sentenza del Tribunale di Roma, pur offrendo una ricostruzione coerente e moderna del patto fiduciario, lascia emergere alcune criticità sul piano sistematico. In particolare, l’esclusione della forma scritta e il riconoscimento del pactum fiduciae come accordo meramente obbligatorio, se da un lato valorizzano l’autonomia privata e la flessibilità dell’istituto, dall’altro rischiano di indebolire la posizione del fiduciante e di compromettere la certezza dei rapporti giuridici. La tutela dell’interesse sostanziale del fiduciante resta infatti affidata alla correttezza del fiduciario più che a reali garanzie giuridiche, mentre la prova del patto, in assenza di forma scritta, può rivelarsi incerta e difficilmente dimostrabile.

Nonostante tali limiti, la pronuncia contribuisce a consolidare la distinzione tra fiducia dinamica e statica e a confermare la piena legittimità dell’istituto, rafforzando la sua funzione di strumento flessibile dell’autonomia negoziale.

5. PROFILI APPLICATIVI E IMPLICAZIONI PRATICHE

L’impostazione accolta dal Tribunale di Roma assume rilievo concreto soprattutto nei rapporti societari, dove il trasferimento fiduciario di quote rappresenta una prassi diffusa e, al tempo stesso, delicata. La distinzione tra titolarità formale e titolarità sostanziale incide direttamente sulla gestione interna della società e sui rapporti con i terzi, ponendo questioni di trasparenza e di responsabilità. Se, infatti, il fiduciario diviene titolare effettivo della quota nei confronti della società e dei terzi, egli partecipa pienamente alla vita sociale, esercitando diritti di voto, partecipazione e percependo utili; tuttavia, sul piano interno, rimane vincolato al fiduciante, che conserva un interesse sostanziale alla quota.

Questa scissione di piani può generare difficoltà applicative. Nelle società di persone, in particolare, la compenetrazione tra persona e partecipazione rende problematico distinguere tra soci “effettivi” e “fiduciari”. La mancanza di un requisito formale del pactum fiduciae, pur coerente con il principio di autonomia contrattuale, può tradursi in un rischio di conflitti, soprattutto in caso di crisi del rapporto fiduciario, morte del fiduciante o ingresso di nuovi soci. Anche la posizione dei creditori può risultare incerta, poiché il diritto, formalmente appartenente al fiduciario, può essere aggredito da terzi estranei all’accordo.

Al di là del contesto societario, la fiducia è utilizzata nella prassi come strumento di intestazione o gestione patrimoniale temporanea, anche in ambiti familiari e successori. In questi casi, la decisione del Tribunale richiama l’esigenza di una maggiore cautela nella redazione degli accordi fiduciari, che, pur restando validi anche se orali, dovrebbero essere formalizzati in forma scritta a fini probatori, così da evitare contestazioni o difficoltà nella dimostrazione dell’effettiva volontà delle parti.

In definitiva, la sentenza invita a una lettura equilibrata dell’istituto: la fiducia, se usata correttamente, può costituire uno strumento flessibile di organizzazione degli interessi; ma proprio la sua atipicità richiede prudenza, chiarezza e consapevolezza delle conseguenze, specie nei rapporti societari dove la distinzione tra apparenza e realtà giuridica tende a farsi più sottile.

6. CONCLUSIONI

La vicenda esaminata dal Tribunale di Roma mostra come il patto fiduciario continui a rappresentare un punto di incontro tra tecnica giuridica e fiducia personale. È proprio in questa tensione che l’istituto trova la sua attualità: nel tentativo del diritto di disciplinare ciò che nasce da un rapporto di lealtà e affidamento reciproco.

Il riconoscimento della validità del pactum fiduciae e della sua funzione regolatrice, anche in assenza di forma scritta, rivela una direzione evolutiva dell’ordinamento, sempre più orientato a valorizzare la sostanza dei rapporti rispetto alla loro veste formale. La fiducia, in questo senso, diventa il luogo in cui il diritto accetta la complessità delle relazioni umane, trasformandola in regola e in responsabilità.

In definitiva, l’istituto fiduciario non è solo una tecnica di circolazione dei diritti, ma anche una forma di equilibrio tra libertà privata e ordine giuridico: uno spazio in cui il diritto ammette che la certezza può convivere con l’affidamento, e la forma con la fiducia.


 

 


 
 
 

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