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B. Manca; L. Margiotta

Il rapporto di cambio nelle operazioni di fusione

Introduzione


Nella famiglia delle operazioni straordinarie, la fusione è lo strumento congeniale per aumentare la dimensione e la competitività delle imprese sul mercato, trattandosi di una manovra di concentrazione economica e giuridica delle società coinvolte. Invero, tramite la fusione, i patrimoni e le compagini sociali di quest’ultime vengono unificati in una singola struttura organizzativa – cioè, la società incorporante nelle fusioni per incorporazione ovvero la società risultante dalle fusioni in senso stretto – la quale assume i diritti e gli obblighi delle stesse entità “assorbite” e prosegue in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori all’operazione (art. 2504-bis c.c.). Ciò premesso e considerato, la fusione si atteggia come un contratto di vita stipulato dalle società partecipanti, che assicura la sostanziale continuazione dell’attività, sia pur in un rinnovato impianto societario a dimensioni maggiorate. Tale obiettivo, in particolare, è perseguito a beneficio dei soci con il congegno del rapporto di cambio, vale a dire, attribuendo loro quote o azioni della società nuova o incorporante in cambio della loro partecipazione originaria, che si estingue; in tal modo, i soci preesistenti mantengono intatta nella neonata struttura organizzativa non solo la qualità di “socio” in quanto tale, ma anche il “peso” della loro posizione; o quantomeno, così dovrebbe essere.

 

Il principio di congruità del rapporto di cambio


La quantificazione del rapporto di cambio è un momento cruciale nelle operazioni di fusione, poiché determina la partecipazione futura del socio all’interno del nuovo assetto societario, e quindi il corpus patrimoniale-amministrativo di diritti che a questi spetteranno. In altri termini, il rapporto di cambio si presenta, agli occhi del socio, come l’unità di misura della convenienza soggettiva dell’affare.


Data la criticità dell’elemento, in grado di incidere anche significativamente sulle proporzioni sociali, il legislatore predispone dei moniti e delle cautele di tipo non solo procedurale, ma anche sostanziale: difatti, il Codice civile non si limita a prevedere degli specifici obblighi di disclosure a carico degli amministratori, i quali devono asservire all’operazione di fusione un’apposita ed esaustiva documentazione informativa, ma ammonisce che quest’ultima debba contenere, inter alia, una relazione tecnica sulla congruità del rapporto di cambio (art. 2501-sexies c.c.). Quest’ultima, precisamente, dovrà essere valutata dagli esperti non solo a valle, in base ai puri risultati matematici del rapporto, ma anche (anzi: innanzitutto) a monte, alla luce dei metodi di calcolo utilizzati; questi, da giudicare a loro volta secondo adeguatezza e importanza relativa nel calcolo aggregato, tenendo pure conto dei loro nodi difficoltosi.


La connotazione di congruità che il rapporto di cambio deve assumere costituisce, al tempo stesso, il vincolo e l’obiettivo che fa capo agli amministratori, in veste di calcolatori del suddetto elemento. Il valore stabilito non può essere il frutto di una libera negoziazione tra le parti dell’operazione, cioè le società che vi partecipano nelle persone dei loro amministratori, poiché quest’ultimi, inevitabilmente, sono espressione della sola maggioranza assembleare; piuttosto, il rapporto di cambio dovrà essere obbligatoriamente congruo a beneficio dell’intera compagine sociale, sicché la minoranza non risenta, a causa del suo potere decisionale fisiologicamente più debole, di scelte limitative o disgregative della loro partecipazione sociale assunte dalla fetta preponderante e complementare dell’assemblea.


Ciò nonostante, e così come è avvezzo fare, il legislatore stabilisce il fine da raggiungere ma non i mezzi per perseguirlo: prescrive, cioè, che il rapporto di cambio debba essere connotato da congruità senza fornire una definizione di quest’ultima, né tantomeno dei criteri direttivi per attestarla. Eppure, non si può qui biasimare la vaghezza legislativa, perché ogni realtà aziendale è diversa e, dunque, ogni rapporto di cambio può essere congruo a modo suo; non sarebbe stato, infatti, funzionale eliminare ogni margine di discrezionalità amministrativa e imbrigliare l’organo di gestione in rigorosi percorsi valutativi, perché nessuno di essi sarebbe stato idoneo a garantire, in maniera generalizzata e aprioristica, il raggiungimento del risultato.


Certo è che ingredienti immancabili della congruità sono la ragionevolezza, la non arbitrarietà e la motivazione delle scelte valutative e metodologiche compiute dagli amministratori, sì da garantire al socio la continuità della sua partecipazione, ossia un’equivalenza sostanziale fra quella precedente, annullata, e quella attuale, assegnata post fusione. Detto diversamente: il concambio effettivo che, a sfregio dell’eguaglianza formale delle partecipazioni, si discosti dal concambio teorico (vedi infra) risulterà nondimeno congruo se vi sono dei motivi, giustificabili e dimostrabili, che rendono la partecipazione attuale sostanzialmente equivalente a quella detenuta ante fusione.

 

Le modalità di calcolo del rapporto di cambio


Il compito di determinare il rapporto di concambio spetta agli amministratori, trattandosi di uno degli elementi necessari da indicare nel progetto di fusione (art. 2501-ter, co. 1, n. 3), c.c.). Il procedimento di calcolo del rapporto di cambio è divisibile in due fasi.


1. La prima fase mira alla quantificazione del c.d. concambio teorico procedendo secondo vari step: in primis, si valutano le società coinvolte, determinando il loro capitale economico; dopodiché, si divide quest’ultimo per il numero delle azioni in circolazione, ottenendo il valore unitario delle azioni; infine, quest’ultimo valore riferito all’incorporata lo si divide per il corrispondente valore di pertinenza dell’incorporante, e si ottiene il suddetto rapporto di cambio (teorico). Con particolare riguardo alla valutazione delle società partecipanti, il legislatore non prescrive uno specifico metodo da adottare, poiché in realtà i criteri corretti a tal fine, e quindi utilizzabili, sono in numero plurale. Tra i diversi macro-tipi in cui questi sono pacificamente raggruppati, si ricordano i seguenti: i metodi patrimoniali, in base ai quali il valore della società dipende esclusivamente dal suo patrimonio, e affatto dalla sua capacità di produrre reddito; i metodi reddituali, articolati in maniera antitetica ai precedenti; i metodi misti, i quali, in via intermedia e di compromesso, tengono conto di ambo le componenti patrimoniale e reddituale; i metodi finanziari, che determinano il valore dell’impresa attraverso l’attualizzazione dei flussi di cassa che sarà in grado di produrre; i metodi di mercato, tra cui il metodo delle quotazioni di borsa e il metodo dei multipli.

Peraltro, quale che sia poi il criterio concretamente applicato, la discrezionalità amministrativa resta comunque vincolata ad un’applicazione trasparente, intelligibile, omogenea e giustificata; in una parola: congrua. Normalmente, la base teorica dei criteri di valutazione aziendale è costituita dai valori di bilancio, che emergono dalla situazione patrimoniale allegata al progetto di fusione (art. 2501-quater c.c.).


2. Diversamente, la seconda fase implica la modifica del valore di concambio teorico alla luce di altri fattori da tenere in considerazione (la qualità dell’organizzazione, il prestigio aziendale, il prezzo di borsa delle azioni, l’abilità dei managers coinvolti nelle trattative, ecc.). L’esito della revisione sarà il c.d. concambio effettivo, la cui eventuale differenza rispetto al concambio teorico dovrà essere ragionevolmente giustificata dagli amministratori nella loro relazione.

 

Come la determinazione del rapporto di cambio incide sui diritti della partecipazione sociale


Abbiamo detto che l’operazione di fusione comporta l’annullamento della partecipazione originaria dei soci e la sostituzione con un’altra partecipazione la cui entità sarà determinata dal concambio. La congruità del rapporto di cambio non impone agli amministratori l’obbligo di assegnare una partecipazione che abbia la stessa consistenza di quella annullata, anzi, potrebbe addirittura accadere che un socio perda il proprio status socii, data l’esiguità della nuova partecipazione.


Al diminuire della consistenza della partecipazione, diminuirà anche il fascio di diritti amministrativi che da essa deriva (es: peso dell’azionista in termini di capacità di voto); allo stesso modo, la determinazione del concambio incide sui diritti patrimoniali (la nuova partecipazione dà diritto a dei dividendi che sono prodotti da un complesso aziendale diverso, la cui capacità reddituale sarà diversa, così come la quota di spettanza del socio e la politica in tema di distribuzione di dividendi). In nessuno di questi casi, però, tali evenienze sono considerate lesive del principio di congruità.


Problemi maggiori si pongono, invece, in presenza di diverse categorie di azioni, le quali influenzano la determinazione del rapporto di cambio.


Parliamo di concambio omogeneo nel caso in cui si prevedano più rapporti di cambio, uno per ciascuna categoria di azioni; si dovrà dunque controllare che i diritti garantiti dalle nuove azioni speciali emesse siano effettivamente equivalenti a quei diritti assicurati dalle azioni annullate. Secondo parte della dottrina, se il rapporto di cambio è congruo, gli azionisti riceveranno una partecipazione sostanzialmente equivalente a quella annullata e dunque non potrà configurarsi un pregiudizio ai loro diritti tale da legittimare la necessità di approvazione dell’operazione da parte dell’assemblea speciale. Secondo un’altra parte della dottrina, invece, qualora le nuove azioni non siano equivalenti quanto ai diritti garantiti ai soci, la fusione dovrà essere approvata dall’assemblea speciale degli azionisti di categoria, indipendentemente dalla congruità del concambio. Questa seconda soluzione sembra più rispondente al dettato normativo.


Parliamo invece di concambio disomogeneo nel caso in cui si preveda un concambio unico, e pertanto agli azionisti speciali saranno assegnate azioni ordinarie secondo un determinato rapporto. Qualora si scegliesse di adottare tale situazione (la più diffusa nella pratica), la delibera di fusione dovrà essere approvata dall’assemblea speciale degli azionisti della categoria interessata, dal momento che la sostituzione delle azioni annullate con azioni ordinarie provocherà una modificazione dei diritti dei soci.


In ogni caso, i soci delle società che si estinguono possono ricevere, insieme alle azioni o quote del capitale della società risultante dalla fusione, un conguaglio in denaro che non può eccedere il 10% del valore nominale delle azioni o quote assegnate. La sua ratio è quella di compensare i soci per i resti occasionati dall’applicazione del rapporto di cambio, mentre non può essere utilizzato per diluire in maniera indebita la partecipazione di questi ultimi nel capitale della società risultante.

 

Concambio incongruo, sindacabilità e rimedi


Con riferimento alla possibilità di sindacare il rapporto di cambio in sede giurisdizionale, la giurisprudenza ha lentamente cambiato orientamento. In un primo momento, essa riconosceva la legittimità del sindacato solo in caso di concambio manifestamente arbitrario o dipendente da operazioni fraudolente, o, tutto al più, in caso di errata applicazione dei criteri di valutazione; non si poteva, dunque, indagare sulla discrezionalità tecnica riservata dalla legge al giudizio di perito e amministratori, necessaria poiché la determinazione del rapporto di cambio è un atto negoziale. Successivamente però, la giurisprudenza (Tribunale di Milano) ha affermato che anche il risultato dell’attività valutativa tecnica degli amministratori potrebbe essere oggetto di riesame in sede contenziosa mediante una consulenza che verifichi la congruità del rapporto di cambio fissato.


In ogni caso, il d.lgs. 22/1991 ha introdotto, all’art. 2504 quater cc, il principio secondo cui una volta iscritto l’atto di fusione nel registro delle imprese, resta preclusa ogni azione invalidante lo stesso, fermo il diritto dei soci al risarcimento dei danni; dunque, in caso di incongruità del rapporto di cambio, non sarebbe più pronunciabile l’invalidità della fusione.

La norma nasce dalla consapevolezza che per le operazioni di fusione, una pronuncia di invalidità con operatività ex nunc sarebbe inadeguata, in quanto non sarebbe possibile rinvenire una regola di attività che operi successivamente a tale pronuncia. Secondo parte della dottrina (minoritaria), però, ciò non implicherebbe che i singoli profili attuativi della fusione (es: determinazione del rapporto di cambio) siano anch’essi intangibili a seguito dell’iscrizione dell’atto di fusione.


Acclarato che il rimedio in caso di concambio incongruo è di tipo obbligatorio (risarcimento dei danni), dobbiamo distinguere la tesi di chi considera la determinazione dello stesso come un illecito (dunque sarebbe necessario per il socio provare che il suo pregiudizio sia stato causato da una condotta dolosa o colposa degli amministratori), dalla tesi volta a qualificare la responsabilità degli amministratori come contrattuale. Essa deriverebbe dal loro inadempimento di obblighi imposti da norme di legge, tra cui appunto, l’onere di determinare un rapporto di cambio congruo e di rappresentare i vari passaggi che hanno portato alla fissazione dello stesso. Sarebbe così prevista anche una responsabilità per la società, derivante dal fatto che, adottando una delibera di fusione con concambio incongruo, essa abbia violato quei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc.

 

Casi di inutilità del rapporto di cambio


Vi sono alcuni casi in cui la determinazione del rapporto di cambio perde di significato, come nel caso di fusioni per incorporazione di società integralmente posseduta dalla incorporante, oppure nel caso di fusione a specchio (i soci delle società che si fondono sono gli stessi e partecipano al capitale sociale nella medesima misura percentuale).

In questi casi, il concambio è irrilevante, non essendoci un effettivo conflitto di interessi tra i soggetti destinatari della misura (non sussiste alterità soggettiva tra i titolari di interessi / è impossibile che si concretizzi il rischio di un trattamento non equo di questi ultimi).

 

Bibliografia


ENZO MANGONE, La determinazione del rapporto di cambio nella fusione: profili problematici (2008)


LUIGI ARTURO BIANCHI, Bilanci, operazioni straordinarie e governo dell’impresa (2013)


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Cass. 10 ottobre 1955, n. 2959


Trib. Milano, 2 novembre 2000, in Le società


LUCARELLI P., Rapporto di cambio incongruo, invalidità della fusione e rimedi: una relazione ancora da esplorare


BIANCHI L.A. La congruità del rapporto di cambio nella fusione, Il Sole 24-Ore, 2002 


GAREGNANI G.M., Profili di valutazione nelle operazioni di fusione: concambio e

MLBO, Giuffrè, 2006


GUATRI L.-BINI M., Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Egea,

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NIGRO A., Diritto delle Operazioni Straordinarie, il Mulino, 2022

 

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