top of page
G. Intrieri, G. Lupoi

“Don’t wear it? Sell it!”: for free or for a fee?

Il caso Vinted

“Non lo metti? Mettilo in vendita!” è lo slogan pubblicitario della piattaforma Vinted, ad oggi il più famoso marketplace per la compravendita di abbigliamento e accessori di seconda mano. “Zero commissioni, zero limiti”, “quello che guadagni è tutto tuo” ripete la società nei vari spot apparsi in televisione e sui social. Come forse si saranno accorti molti utenti che hanno usufruito del servizio, in realtà le cose stanno diversamente: Vinted si è “dimenticata” di avvisare gli acquirenti della quota obbligatoria, mascherata da assicurazione, per la Protezione Acquisti e delle spese di spedizione. Su segnalazione di Federconsumatori-APS e Altroconsumo, alla fine è intervenuta l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), irrogando una sanzione di 1,5 milioni di euro nei confronti della società. Al di là dell’entità economica della sanzione, la morale della favola è un’altra: Vinted, il gruppo fautore dello shopping low-cost e sostenibile, ha di fatto tratto in inganno i propri clienti. E non solo: in alcuni casi, la piattaforma ha proceduto al blocco unilaterale degli account di utenti che avevano presentato reclamo in merito alla gestione dei costi aggiuntivi. Insomma, un servizio poco low-cost e soprattutto molto scorretto.


Nel relativo provvedimento, l’Autorità ha messo l’accento sulla mancanza di indicazioni chiare e trasparenti, “fin dal momento dell'iniziale aggancio pubblicitario” riguardo l’esistenza a carico dei consumatori di costi ulteriori rispetto al prezzo di acquisto del prodotto. In particolare, conclude l’AGCM: “le condotte poste in essere da Vinted si pongono in contrasto con il dovere di diligenza professionale e l’obbligo di chiarezza e completezza informativa e integrano una pratica commerciale scorretta, sotto il profilo dell’ingannevolezza, idonea a falsare in misura significativa il comportamento economico del consumatore medio in relazione all’utilizzo della Piattaforma, potendo indurlo ad assumere, attraverso modalità decettive ed omissive di presentazione del prezzo del prodotto e delle opzioni di acquisto, una decisione di natura commerciale, quale la conclusione di una transazione di acquisto all’interno della Piattaforma vinted.it, che altrimenti non avrebbero preso, in violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo”.


Focus: il Codice del Consumo

Il Codice del Consumo (d.lgs.206/2005), che ha introdotto all’interno dell’ordinamento italiano la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, è stato riformato dal decreto legislativo 146 del 2007, in attuazione della direttiva CE 29 del 2005. L’art.18, così come riformato dal d.lgs.147/2007, contiene una serie di definizioni generali (quali quelle relative a professionista, consumatore, prodotto e pratiche commerciali tra professionisti e consumatori), strumentali a comprendere l’ambito di applicazione della disciplina in esame. Inoltre, l’art.19 stabilisce che “il presente titolo si applica alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto, nonché alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e microimprese”.


L’art.20, comma 2, del Codice del Consumo stabilisce che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa, o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico di un consumatore medio.

La definizione generale sopra- citata si declina, nei successivi articoli del Codice del Consumo, in due categorie: le pratiche commerciali ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive.


La prima categoria include informazioni non rispondenti al vero, oppure informazioni che, seppur in qualche modo veritiere, siano idonee ad indurre in errore il consumatore. In ogni caso, una pratica si definisce ingannevole quando induce il consumatore ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’induzione in errore può riguardare una serie di indicazioni, così come elencate nell’art. 21 del Codice del Consumo, quali la natura del prodotto, il prezzo, le caratteristiche del prodotto e i diritti del consumatore. Nel caso di Vinted, ad esempio, l’AGCM ha sanzionato la società per violazione degli articoli 20, 21, 22 del Codice del Consumo, in quanto le indicazioni poco trasparenti circa le modalità e i costi delle operazioni erano idonee ad indurre in errore i consumatori in relazione all’opportunità di effettuare una compravendita sulla piattaforma online.

È possibile effettuare una distinzione circa le modalità con cui una pratica commerciale ingannevole può essere realizzata. Si distinguono, infatti, pratiche ingannevoli di tipo commissivo e di tipo omissivo: esse sono individuate, rispettivamente, negli artt.21 e 22 del Codice del Consumo. Mentre la prima norma pone l’accento sulle condotte poste in essere dal professionista, la seconda riguarda le ipotesi in cui quest’ultimo ometta di fornire indicazioni che possano essere utili al consumatore per prendere una decisione informata e consapevole.


Le pratiche commerciali aggressive costituiscono la seconda categoria di pratiche commerciali scorrette. Gli artt. 24, 25 e 26 del Codice del Consumo stabiliscono che il comportamento di un professionista si definisce aggressivo quando, mediante molestie, coercizione o altra forma di indebito condizionamento, limita o è idoneo a limitare la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio circa l’acquisto di un prodotto. Di conseguenza, il consumatore è indotto a prendere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso. La sussistenza di molestia, coercizione ed indebito condizionamento, al fine di valutare l’aggressività della condotta, è accertata tramite una serie di elementi, così come elencati dall’art.25 del Codice, quali il tempo, il luogo e la natura del comportamento del professionista e l’eventuale ricorso alla minaccia, verbale o fisica.


Il Codice del Consumo contiene due liste nere (“black lists”) di condotte che sono considerate in ogni caso scorrette, per le quali, dunque, non è ammessa prova contraria. Tali liste sono contenute negli artt.23 e 26 del Codice. A titolo esemplificativo, l’art.23 stabilisce che è sempre considerata pratica ingannevole l’affermare che un prodotto sarà disponibile per un periodo di tempo limitato o che sarà disponibile a certe condizioni per un tempo molto limitato, in modo da privare il consumatore del tempo necessario per adottare una decisione d’acquisto ponderata e consapevole. Allo stesso modo, è ritenuta aggressiva, ai sensi dell’art.26, la condotta del professionista che effettua sollecitazioni commerciali non richieste e ripetute, tramite telefono, fax o altro mezzo di comunicazione a distanza; oppure il comportamento del professionista che inserisce in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai bambini al fine di convincere i genitori ad acquistare determinati prodotti.


Focus: la procedura di fronte all’AGCM

In concreto, come può un consumatore o un’associazione di consumatori ricorrere all’AGCM per chiedere la cessazione di una pratica commerciale scorretta o di una pubblicità ingannevole? La procedura è regolata dalla Delibera AGCM del 1° aprile 2015, n.25411 - Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore, ed è molto semplice. Infatti, ai segnalanti non sono richieste particolari formalità, versamenti a favore dell’Antitrust o l’assistenza di un avvocato. I consumatori che intendono segnalare una pratica commerciale scorretta o una pubblicità ingannevole possono farlo anche mediante una semplice PEC o tramite la compilazione di un modulo disponibile sul sito dell’AGCM. Successivamente alla presentazione di un’istanza, si apre la fase cd. preistruttoria. Questa può concludersi con un provvedimento di archiviazione, oltre che per manifesta infondatezza o manifesta inidoneità a falsare apprezzabilmente il comportamento economico del consumatore medio, a seguito della cd. moral suasion. Con la moral suasion l’AGCM esplica il potere di invitare al ravvedimento operoso il professionista prima dell’avvio di un procedimento. Lo scopo è quello di trovare una soluzione a tutela dei consumatori senza pervenire necessariamente alla punizione della violazione.


Qualora si ritenga invece di procedere, il responsabile ne dà avviso alle parti. Ai sensi dell’articolo 8 della Delibera, qualora ricorrano motivi gravi e urgenti, l’Autorità può anche disporre la sospensione in via cautelare della pubblicità ingannevole o della pratica scorretta. Prima di pervenire ad un’eventuale decisione negativa, la procedura offre però un’ulteriore possibilità: il professionista può, infatti, presentare impegni tali da far venire meno i profili di illegittimità della pubblicità o della pratica commerciale. L’AGCM, qualora li ritenga idonei, dispone con provvedimento la loro accettazione rendendoli obbligatori per il professionista, chiudendo il procedimento senza accertare l'infrazione.


Alle parti sono garantiti i diritti di accesso, partecipazione e la facoltà di richiedere un’audizione ai sensi degli articoli 10, 11 e 12. Una volta fissata la data di conclusione dell’istruttoria, le parti hanno inoltre a disposizione un termine (non inferiore a 10 giorni) per depositare memorie conclusive e documenti. In caso di decisione di ingannevolezza o illiceità l’AGCM può disporre la pubblicazione a mezzo stampa della pronuncia, integralmente o per estratto, a cura e spese del professionista. Quest’ultimo ha a disposizione un termine per ricorrere.



Bibliografia:

79 visualizzazioni0 commenti

Comments


bottom of page