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R. Canossa

Le clausole Material Adverse Change

Le Material Adverse Change (“MAC”) clauses sono clausole contrattuali particolarmente rilevanti negli accordi di fusioni e acquisizioni (i.e., mergers and acquisitions o “M&A”) e nelle relazioni debito-credito, specialmente nelle giurisdizioni di common law.

Nel diritto nostrano, esse consistono sostanzialmente in condizioni risolutive ex. art. 1353 c.c., che subordinano la risoluzione del contratto a un avvenimento futuro e incerto, di rilievo per l’appunto “materiale” o, per meglio dire, “essenziale”, in relazione all’oggetto del contratto medesimo.

In prima battuta, in presenza di una clausola MAC, l’acquirente avrà il diritto di risolvere il contratto di acquisizione al verificarsi di un evento avverso di rilievo tale da: a) impedire l’adempimento delle sue obbligazioni; b) comportare un effetto drasticamente avverso sull’attività commerciale, l’operabilità o il patrimonio del venditore.[1]

L’idoneità di un evento a rappresentare un MAC dipende dalla tecnica di redazione della clausola.

In linea di principio, le clausole MAC iniziano con una “definizione di base”, che caratterizza in via generale l’evento avverso come “ogni avvenimento, fatto, cambiamento etc. idoneo a causare sulla target un effetto materiale avverso”. Questo primo livello ha la funzione di trasferire l’allocazione del rischio dell’avvenimento di un MAC dall’acquirente al venditore. Infatti, in assenza di tale clausola, al verificarsi di un evento materiale avverso l’acquirente sarebbe comunque tenuto a procedere all’acquisizione, circostanza che invece non si verifica se il contratto contempla un’apposita clausola.[2]

Considerata la tendenziale genericità di questo primo livello delle MAC clauses, è opportuno ritenere, per esempio, che il Covid-19 possa rappresentare un evento materiale avverso per gli accordi formati prima della sua diffusione.

Tuttavia, l’allocazione del rischio per certi MAC viene nuovamente trasferita in capo all’acquirente in virtù del secondo livello tipico di tali clausole contrattuali, i.e. la c.d. “lista delle eccezioni” (o “carve-outs”).[3] La funzione di tale lista è individuare una serie di eventi, pur materiali e avversi, alla presenza dei quali l’acquirente non gode del diritto di risoluzione. Un esempio tipico – e rilevante ai fini di questo articolo – è l’eccezione della force majeure, che, a seconda della sua formulazione, può includere anche le pandemie.

Un terzo livello, solo eventuale, delle clausole MAC è dato dalle cc.dd. “esclusioni di sproporzionalità”,[4] che rappresentano eccezioni alle eccezioni e ri-trasferiscono il rischio dell’avvenimento di un MAC in capo al venditore nel caso in cui l’evento materiale avverso colpisca il seller in maniera sproporzionatamente superiore ai concorrenti nel medesimo settore o mercato. Alla presenza di tale terzo livello, nel caso in cui un evento materiale e avverso colpisca il seller in modo particolarmente considerevole rispetto ai suoi competitors, l’acquirente potrà esercitare la risoluzione indipendentemente dal fatto che tale evento ricada nella lista delle eccezioni.

Una volta chiarita la struttura tipica delle MAC clauses, e considerando che si tratta di uno strumento prevalentemente di common law, è opportuno analizzare come tali clausole siano state applicate dalle corti. Nel corso degli anni si è formata, in particolare sul concetto di “materialità”, una case law piuttosto complessa, che ha recentemente subito una svolta decisiva negli USA.

Inizialmente, le corti statunitensi – soprattutto la Delaware Court – avevano creato uno standard talmente elevato che nessun buyer, fino al 2018, era riuscito a liberarsi dalle proprie obbligazioni dimostrando la sussistenza di un evento materiale avverso.

Nel caso IBP v. Tyson Foods (2013),[5] la Corte ha posto un’importante condizione: l’evento avverso, per soddisfare la caratteristica della materialità, deve essere un avvenimento inaspettato, che minaccia in modo sostanziale il profitto potenziale della target in una “maniera temporalmente significativa”.[6] Pertanto, non sarà sufficiente una compromissione temporanea, per quanto significativa, della performance del venditore, per innescare la MAC clause. Infatti, secondo la Corte, la materialità richiede un impatto “su un periodo commercialmente ragionevole, che ci si aspetta venga misurato in anni, piuttosto che in mesi”.[7]

In Frontier Oil Corp. v. Holly Corp. (2005),[8] la Corte ha stabilito la necessità di valutare la materialità sulla base di considerazioni di natura sia qualitativa sia quantitativa, non bastando solo uno dei due elementi al fine di soddisfare il test di materialità.

Secondo i giudici di Hexion Specialty Chems., Inc. v. Huntsman Corp. (2008), nemmeno una riduzione significativa degli earnings per share è sufficiente a consentire la risoluzione contrattuale del buyer, dal momento che il parametro da utilizzare è il c.d. EBITDA (“Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation, and Amortization”), ossia la differenza tra entrate e spese, queste ultime depurate da interessi, imposte, ammortamenti e deprezzamenti. Peraltro, sempre secondo la Corte, una riduzione del 25% dell’EBITDA comunque non era rappresentativa della sussistenza di un evento materiale avverso, ma faceva parte del ciclo commerciale fisiologico del venditore.[9]

Alla luce di questi casi, si poteva correttamente affermare che il test di materialità non era solo alto, ma rasentava a tutti gli effetti l’impossibile.

L’interpretazione, tuttavia, è cambiata con la storica sentenza Akorn v. Fresenius del 2018.[10] Seguendo i casi precedenti, la Delaware Court ha applicato sia fattori qualitativi, sia quantitativi per la valutazione della materialità dell’evento avverso.

Sotto il profilo qualitativo, la Corte non ha chiarito se sia necessario un “fallimento” nel business della target – in tal caso, la soglia di materialità sarà più elevata – o basti dimostrare che “lo scopo del contratto sia stato materialmente compromesso”.[11] In ogni caso, questa valutazione è eminentemente fattuale e varia, quindi, da caso a caso.

Decisamente più incisivo è invece il profilo quantitativo. Secondo la Corte, una riduzione del valore della transazione pari al 20% del patrimonio del venditore è sufficiente a rendere un evento materialmente avverso. Questa decisione ha segnato un importante cambio di rotta, dal momento che per la prima volta ha superato quell’approccio eccessivamente “seller-friendly” che aveva caratterizzato la giurisprudenza sino a quel momento.

Ciò, ovviamente, non significa che l’approccio sia ora “buyer-friendly”. Il test di materialità importa ancora un onere probatorio notevolmente elevato in capo all’acquirente, ma non più “pressoché impossibile”.

Peraltro, come dimostrato nel recente caso della medesima corte AB Stable v. Maps Hotels (2020),[12] nonostante la riluttanza delle corti statunitensi a convalidare la risoluzione sulla base di un evento avverso, può risultare comunque conveniente inserire una MAC clause in fase di contrattazione. Infatti, il buyer aveva terminato il contratto in forza di siffatta clausola in forza della pandemia da Covid-19. Benché la lista delle eccezioni contemplasse le “calamità” come carve-out – e dunque facesse ricadere sull’acquirente il rischio di una pandemia – la corte ha riconosciuto la validità della risoluzione sulla base di covenant che obbligava il seller a operare esclusivamente “nel corso d’azione ordinario, consistente in tutti gli aspetti materiali con le prassi commerciali precedenti”.[13]












[1] Akshatha Achar, “MAC Clauses in M&A Transactions”, 7 Ct. Uncourt (2020), p. 40. [2] Robert T. Miller, “Material Adverse Effect Clauses and the COVID-19 Pandemic”, U Iowa Legal Studies Research Paper No. 2020-21 (2020), p. 2. [3] Id., p. 4. [4] Id., p. 5. [5] IBP, Inc. Shareholders Litigation v Tyson Foods, Inc. and Lasso Acquisition Corporation 789 A.2d 14 (2001 Del. Ch.). [6] John Prinzivalli, “Defining Materiality: Drafting Enforceable MAC Provisions in Business Combination Agreements following IBP v. Tyson”, 8 U. P.R. Bus. L.J. 162 (2016), p. 172. [7] IBP v. Tyson Foods, supra n. 5, in [67]. [8] Frontier Oil Corp. v. Holly Corp., No. 20502, 2005 Del. Ch. LEXIS 57, (2005 Del. Ch.). [9] Lisa R. Stark, “Revisiting MAE/MAC Clauses in M&A after Cooper Tire, Huntsman, and Osram”, 2014 Bus. L. Today 1 (2014), p. 2. [10] Akorn, Inc. v. Fresenius Kabi AG - No. 2018-0300-JTL, (2018 Del. Ch.), (“Akorn v. Fresenius”). [11] Katelyn E. Bryant, “Bringing down the Deal: Reevaluating the Delaware MAE Standard after Akorn v. Fresenius” in 51 Seton Hall L. Rev. 815 (2021), p. 834. [12] AB Stable VIII LLC v. Maps Hotels and Resorts One LLC C.A. No. 2020-0310-JTL (2020 Del. Ch.), come confermato dalla Del. Supreme Court decision n. 71, 2021. [13] Chris Grieves, Chris Randall, Jill Gauntlett, and Sarah Kendall, “MACs and MAEs in privately negotiated English law M&A deals: COVID-19 developments”, Norton Rose Fulbright.

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